Visita del Papa alla moschea di Bangui
Chi lo avrebbe detto. In Africa. “Bangui capitale spirituale del mondo. L’anno santo della misericordia viene in anticipo in questa terra”. Papa Francesco è emozionato quando batte tre colpi con un martelletto, pronunciando la formula latina, per poi aprire la porta santa che, stavolta, non è un portone di bronzo, riccamente ornato, ma una specie di cancello di legno, un po’ scalcagnato anche se ridipinto con una vernice marrone.
«Insieme diciamo no all’odio, alla vendetta, alla violenza, e in particolare a quella che è perpetrata in nome di Dio». Accanto a lui, nella moschea, c’è l’Imam che con l’arcivescovo di Bangui è impegnato per riportare un po’ di calma nella Repubblica Centrafricana. L’appello che gli sgorga dal cuore e che viene condiviso dai musulmani presenti è rivolto a tutti. Il conflitto che da tre anni semina distruzione e violenza, solo in apparenza ha i connotati di una guerra religiosa. Tutti però sanno che gli scontri partiti nel 2013 dai miliziani Seleka (islamici) ai quali i soldati anti-Balaka (cristiani) hanno riposto con la stessa moneta, avevano radici di ordine economico e politico. Altro che religione.
«Chi dice di credere in Dio deve essere anche un uomo o una donna di pace. Cristiani, musulmani, membri delle religioni tradizionali, hanno vissuto pacificamente insieme per molti anni. Dobbiamo dunque rimanere uniti perché cessi ogni azione che, da una parte e dall’altra, sfigura il Volto di Dio e ha in fondo lo scopo di diffondere con ogni mezzo interessi particolari, a scapito del bene comune».