Una rovesciata e gol infiniti, 100 anni di Piola
Cento anni di una leggenda. Quelli che avrebbe compiuto Silvio Piola uomo del record, 274 gol in serie A (290 se si contano quelli segnati quando il campionato non era a girone unico) che sembrano un muro invalicabile, anche per un campione di longevità come Francesco Totti . In attesa di vedere se il romanista scalera’ questo Everest, Piola rimane il bomber piu’ prolifico del calcio italiano, il primo (e unico, fino all’avvento di Sivori) capace di segnare 6 reti in una partita (Pro Vercelli-Fiorentina 7-2 dell’ottobre del ’33).
E’ il simbolo di un calcio che non c’e’ piu’, di quando i giocatori prendevano il tram ma erano gia’ miti di quel football eroico praticato a cavallo della Seconda Guerra Mondiale. E’ stato il prototipo del centravanti moderno, acrobatico e dal tiro folgorante, capace di colpire al volo e scaraventare in rete qualsiasi palla. Lo testimonia anche l’impronta che ha lasciato sul mondo del pallone, quello della sua rovesciata, il gesto tecnico che piu’ lo rappresenta. Ce ne fu una che è difficile dimenticare: la realizzo’ nel 1939 a S. Siro contro l’Inghilterra. Con la sua prodezza anticipo’ il portiere avversario ma in realtà segno’ colpendo di pugno.
Ai cosiddetti ‘maestri’ quella storia non è mai andata giù, anche se Piola era il bomber della nazionale che, appena un anno prima a Parigi, era ridiventata campione del mondo. La sua collezione di reti la mise insieme con le maglie di Pro Vercelli, Lazio, Juventus e Novara, e gli rimase il rammarico di non aver mai vinto lo scudetto: non ci riusci’ nemmeno indossando la maglia della Vecchia Signora. Ma, assistito da un fisico notevole, si dimostrò comunque campione straordinario, che amava giocare spalle alla porta (cosa all’epoca inconsueta) e attraverso rapide triangolazioni arrivava a tirare in porta con precisione. E andava a cercarsi direttamente la palla, non era solo un cannoniere ma anche uno a cui piaceva giocare di ‘sponda’: per quei tempi, quasi una rivoluzione.
La sua storia ai massimi livelli del calcio comincia presto: nella stagione 1930-31, a 17 anni, si dimostra già goleador di razza, segnando 13 gol in 32 partite. E’ l’inizio della sua favola durata fino al 1954, anno del ritiro, grazie a una vita regolare fuori dal campo e a una cura maniacale della preparazione fisica.
La sua è un’ascesa rapida: nel 1934 molte società hanno messo gli occhi su di lui ma alla fine la spunta la Lazio, che lo strappa alla concorrenza versando alla Pro Vercelli l’astronomica cifra, per l’epoca, di 250mila lire. Un anno dopo, nel marzo del 1935, esordisce in Nazionale, in modo imprevisto: in vista di una trasferta a Vienna, dove l’Italia non era mai riuscita a battere il famoso ‘Wunderteam’, il ct Vittorio Pozzo aveva radunato gli azzurri a Rovigo, ma Piola non era stato neppure convocato. Fu il generale Vaccaro, presidente della federcalcio, a imporne la convocazione in sostituzione dell’infortunato Meazza.
Piola giocò e segno due gol al Prater, ”ma dopo la partita – raccontò Piola anni dopo – nessuno si ricordo’ di Vaccaro e tutti elogiarono Pozzo. Ma io non dimentichero’ mai quei momenti nello stadio di Vienna e quando, dopo la prima vittoria sul campo dell’Austria, il generale mi abbraccio’ e mi disse che lui in guerra contro l’Austria aveva ricevuto una medaglia d’argento, ma io quel giorno ne avevo meritata una d’oro. Non sono mai stato tanto orgoglioso”.
Tre anni dopo eccolo campione del mondo e capocannoniere a Parigi, con due gol all’Ungheria in finale. Questo era Piola, il fenomeno al quale la guerra rubò due Mondiali in cui avrebbe potuto essere di nuovo protagonista. Ma ebbe la soddisfazione di giocare la sua ultima partita in azzurro (34 presenze e 30 gol in tutto) nel 1952, diventando l’azzurro piu’ anziano, record poi battuto dall’altro mito Zoff. Piola sarà sempre anche uno dei simboli della Lazio (che il 6 ottobre lo ricorderà con una maglia celebrativa), dopo essere stato protagonista di tanti duelli con i difensori romanisti nei derby. Come quello del 16 marzo 1941 in cui, fasciato alla testa per uno scontro di gioco al 18′ e quindi menomato, segnò due reti ai cugini diventando simbolo di eroismo ed attaccamento ai colori biancocelesti. E di un calcio d’altri tempi.