Tagli alle spese dei partiti, ministeri e sindacati: ecco i punti cardine

Se si tratta di tagliare la spesa pubblica, i ministeri sembrano il posto ideale dove andare a cercare. Da questa macro-voce, la legge di Stabilità ricava nel 2016 quasi 3 miliardi e mezzo, ovvero poco meno di metà dei risparmi complessivi, che per il resto vengono essenzialmente dalle Regioni. Ma chi pensasse che un contributo così sostanzioso derivi da un guadagno di efficienza delle amministrazioni centrali dello Stato – immaginate come pachidermiche strutture lontane dalla vita reale cittadini – andrebbe abbastanza lontano dal vero.

Le minori spese da realizzare razionalizzando le procedure per gli acquisti di beni e servizi rappresentano infatti una quota minuscola, pari a 103 milioni. E allora a cosa corrispondono i tagli? In realtà sono ricavati da una miriade di interventi grandi e piccoli, realizzati sia attraverso norme specifiche nel testo sia decurtazioni delle varie tabelle della legge di Stabilità. Programmi di spesa autorizzati da leggi del passato, che nel bilancio pubblico fanno capo ai vari dicasteri: non deve sorprendere quindi che la parte del leone con circa 2,4 miliardi la faccia il ministero dell’Economia, da cui dipendono da un punto di vista contabile i principali interventi. 

Nel dettaglio, le misure vanno a colpire con riduzioni di spesa e in qualche caso con aumenti di tariffe una serie di realtà, che comprendono partiti e strutture riconducibili a sindacati e associazioni di categoria, come patronati e centri di assistenza fiscale: è ampiamente prevedibile che alcune di loro si attiveranno in Parlamento per ottenere nel corso dell’iter quanto meno una riduzione del danno.

ITALIANI ALL’ESTERO

Ai Caf vengono tolti 100 milioni l’anno a decorrere dal 2016: gli interessati hanno già fatto sapere che ci saranno conseguenze negative sulla gestione della dichiarazione dei redditi precompilata. Ai patronati, enti che si occupano di assistere i pensionati nelle loro pratiche (a volte in sovrapposizione agli stessi uffici dell’Inps) viene chiesto un sacrificio di 48 milioni, da realizzare in via permanente attraverso una riduzione della parte di contributi dei lavoratori che viene ad essi dirottata: l’aliquota scenderà dall0 0,207 allo 0,183. Ma un contributo di 53 milioni l’anno arriverà dagli stessi enti previdenziali ed assistenziali, chiamati ad ulteriori razionalizzazioni delle spese di funzionamento.

Qualche piccolissimo sforzo (10 milioni nel 2016 e 20 l’anno successivo) dovrebbero farlo anche i partiti, con una riduzione del tetto massimo alle risorse del 2 per mille, ovvero la quota di Irpef che i contribuenti scelgono di destinare alle formazioni politiche. Da parte sua lo Stato rinuncerà a 10 milioni l’anno a valere sulla quota di otto per mille Irpef di sua competenza. Il capitolo riconducibile al ministero della Giustizia comprende una decurtazione delle indennità dei giudici di pace ed onorari, ma anche 4 milioni in meno dal fondo per il processo telematico. Il ministero degli Esteri invece contribuirà con micro-riduzioni di spesa ad organismi internazionali e con un incremento (20 per cento) delle tariffe dei diritti consolari, che quindi si ripercuoterà sugli italiani all’estero.

LE SUPPLENZE
Dai bilanci delle singole scuole vengono recuperati 60 milioni che erano stati destinati alle supplenze brevi e saltuarie, prima che il relativo meccanismo di pagamento fosse modificato. Gli atenei lasceranno sul campo precedenti risorse non spese per l’edilizia universitaria fino ad un massimo di 30 milioni. Una piccola ma significativa riduzione di spesa riguarda il trasporto pubblico locale, che perde 3,7 milioni di contributi alle aziende destinati agli oneri dell’indennità di malattia. Circa un milione e mezzo dovrà essere ricavato dalla riorganizzazione della scuola nazionale dell’amministrazione. Infine una serie di micro-tagli, per un totale di 23 milioni, saranno applicati a voci che dipendono dalla presidenza del Consiglio dei ministri: si va dai fondi per la celebrazione della prima guerra mondiale a capitoli relativamente più sostanziosi come quelli relativi agli interventi per l’editoria e alle politiche di sostegno alla famiglia.

 

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