Strage di Monteforte: le prime verità

L’interruzione del silenzio non ha un volto, né un nome. La società Autostrade decide di spiegare, fornire la sua versione sulla sicurezza nel viadotto Monteforte. 
Ma non c’è firma di un dirigente, né di un amministratore a dare forza alle affermazioni. Solo un comunicato generico. Il tema è quello che, con il passare delle ore, diventa il più spinoso per capire cosa è successo domenica sera sul viadotto della morte. Riguarda quel guardrail, chiamato tecnicamente «new jersey da bordo ponte con mancorrente classe B3», che si è sbriciolato come neve al sole all’impatto con il pullman. La barriere a lato della A16 sul viadotto della morte sono «new jersey». E questo si sapeva. Ma la società sottolinea che quelle barriere «sono state concepite per ammortizzare al meglio gli urti delle autovetture, che costituiscono la stragrande maggioranza degli urti». Come a dire: l’impatto di un’auto sarebbe stato sopportato, quello di un camion o di un altro mezzo pesante non poteva che avere le conseguenze disastrose che abbiamo visto. Eppure, la A16 è autostrada percorsa da auto e mezzi pesanti, perché la limitazione alle auto nell’attenuazione dell’impatto con le barriere laterali? La spiegazione tecnica della società cerca di farlo capire, analizzando la composizione tecnica dei new jersey: «Non sono costruiti con muro rigido, che sarebbe l’unico idoneo a resistere a tutti gli urti, ma con elementi collegati tra loro, appoggiati alla pavimentazione e fissati con perni». Un sistema, viene ancora spiegato, che dovrebbe garantire lo sganciamento di uno degli elementi, in caso di urti particolarmente violenti.

I DUBBI
I se e i ma sulla sicurezza, però, sono molti. E la società li aggiunge nel suo comunicato: «Queste barriere sono idonee a resistere solo entro certe angolazioni di impatto ed entro certi limiti di velocità, perché una maggiore rigidità sarebbe molto pericolosa per gli automobilisti in caso di urto violento». Insomma, barriere più salde impedirebbero la caduta dei malcapitati nel vallone Acqualonga, ma provocherebbero effetti mortali all’istante provocato dall’impatto di un auto con una barriera rigida. I se e i ma sembrano calzati alla strage di domenica: in quel tratto il limite è di 80 km orari e il pullman procedeva, per problemi da accertare, a velocità maggiore (tra i 100 e i 110 secondo gli inquirenti); l’impatto è avvenuto con urto frontale. Le conclusioni della società esprimono piena disponibilità, che in questi casi non si nega mai, alla collaborazione con gli inquirenti. «Per accertare più rapidamente possibile quanto accaduto», termina il comunicato. Le ultime norme sulla sicurezza autostradale risalgono al decreto ministeriale del giugno del 2004. Gran parte delle nostre autostrade sono state costruite prima. Alcune sono assai vecchie, come la A16 che risale a oltre 40 anni fa. Sui new jersey installati nel viadotto incriminato, l’ingegnere Gabriele Camomilla, consulente dell’Anas, spende parole a difesa: «È una delle barriere più sicure, della massima classe di resistenza nell’epoca in cui è stata progettata e cioè il 1988». Spiegazioni che, con altre, finiranno di certo anche nelle future consulenze tecniche dell’inchiesta giudiziaria. Sul viadotto della morte, le violazioni del limite di velocità di 80 chilometri orari sono continue. L’Autovelox in quel tratto ne registra a centinaia in un mese. Un tratto in pendenza, interamente in curva, a corsie strette: l’alta velocità è un pericolo. L’ingegnere Camomilla, a rafforzare la sua fiducia nel sistema dei new jersey in uso sulla A16, conclude: «Proprio su quell’autostrada c’è la maggiore diffusione delle barriere classe B3 con un tasso di incidentalità più basso della rete autostradale. Significano che funzionano».

 

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