“Sìì spontaneo!”: i paradossi della comunicazione umana

Nel corso della vita sarà capitato di sentirsi dire o di dire ad una persona cara (familiare o amico) espressioni quali ; “ sii spontaneo o fai quello che ti senti” con l’intento, forse, di aiutare la persona a essere “libera” di fare quello che voleva. Il linguaggio è una grande risorsa nella relazione con l’altro; soltanto l’uomo è in grado di usufruire di tale strumento per stare insieme agli altri (in virtù anche dello sviluppo cerebrale che, solo nell’uomo, ha permesso la formazione della neocorteccia, dove, in zone specifiche, sono collocati i centri preposti al linguaggio). Tuttavia, l’uso spasmodico di questo strumento, spesso, ci fa dimenticare la “possibili trappole” a cui  possiamo andare incontro nel momento in cui lo utilizziamo. Infatti le espressioni sopracitate, se le si osserva attentamente, più che aiutare l’altro, tendono a intrappolarlo. Infatti il nostro familiare o amico, nel momento in cui ascolta questo, potrebbe avere dei problemi a mettere in atto quanto detto da noi. Perché? Beh , riprendendo la prima frase (sii spontaneo) la persona, se vuole seguire quanto riferitogli, per farlo, dovrebbe “trasgredire” e, quindi, “non essere spontaneo”, visto che la spontaneità è un qualcosa che nasce dalla persona e non può essere “imposto/consigliato”. Infatti, potrebbe accadere che la persona che si sente dire questo, decida di seguire il consiglio/ingiunzione e, per seguirlo, tenderà a non rendere quanto vorrebbe (appunto la spontaneità) essendo quest’ultima, come già è stato accennato sopra, un qualcosa che non va “consigliato”. Una domanda potrebbe essere; “Beh allora il povero amico/ familiare cha ha avuto la sventura di trovarsi in questo pasticcio, come se la può cavare?” Beh, non esiste una unica risposta, in quanto i “paradossi comunicativi” (cit. Pragmatica della comunicazione umana, 1967) sono molto complessi e spesso sono presenti nei nostri discorsi, anche in quelli più banali, senza che noi ce ne accorgiamo. Una cosa utile potrebbe essere quella di fermarsi, qualora ci si renda conto che qualcosa “non fila”, e confrontarsi con l’altro su quanto detto. Questo esercizio ci consentirebbe di fermarci e di pensare a quello che si è detto, non dando per scontato nulla. Sembra facile a dirsi, il difficile viene quando lo si deve mettere in atto, ma l’abituarsi a pensare ed a confrontarsi sulle cose che diciamo, può essere un utile esercizio che ci potrebbe consentire, poi, di aiutare veramente la persona a uscire dalle “trappole comunicative” che noi, senza accorgercene, presentiamo.

Dott.ssa Noviello Simona

Psicologa, psicopedagogista

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