Si punta al rimpasto del Governo Letta
Enrico Letta è sempre più stufo delle punzecchiature di Matteo Renzi. Ma dopo aver fatto voto di pazienza alla Madonna di Guadalupe sul monte Tapeyac, ha deciso di non rispondere alle «provocazioni» e di non scatenare una zuffa con il segretario del suo partito. «Non servirebbe né al governo, né al Paese».
Però qualche contromossa, nel lungo viaggio che l’ha portato in Messico e nella giornata che ha dedicato alla visita delle piramidi di Teotihuacan, Letta l’ha studiata. La prima è mettersi alla finestra. Aspettare che sia Renzi a fare il primo passo. Tant’è, che nel suo staff ora si afferma che «tutto resterà fermo fino allo snodo decisivo della Direzione del Pd» convocata per giovedì. «Anche l’incontro con il Ncd di Alfano avverrà dopo, inutile muoversi prima…». Chiara la strategia: Letta intende capire quanto ancora Renzi alzerà l’asticella, quali saranno le proposte democrat nel dettaglio. E solo dopo tirare le somme, tenendo in massimo conto i rapporti con Alfano. «Perché è vero che il Pd è essenziale, ma è anche vero che senza il Ncd non si governa…». Ed è inutile dire che il premier sfrutterà questo time-out, anche per scoprire quanto sia fondato il sospetto che Renzi punti alle elezioni senza sporcarsi le mani, spingendo Alfano ad aprire la crisi. Ad esempio inserendo nel programma proposte (come le unioni gay) ritenute inaccettabili dal Ncd.
La seconda mossa è scegliere il ruolo di punch-ball, paziente e silente. Renzi sul “Corriere” si lamenta che Letta non si fida di lui? Ebbene, a Città del Messico il premier garantisce: «Ho fiducia nel segretario del Pd, sono convinto che ci siano tutte le condizioni per poter lavorare proficuamente insieme». Segue, però, chiosa rivelatrice della tensione: «In ogni caso i problemi del Paese vengono prima dei problemi personali…». Non manca una battuta del suo staff: «Renzi vuole il programma scritto non in democristianese, ma in file Excel? Non tema, perfino noi di palazzo Chigi sappiamo usare Excel».
Letta, poi, ha compreso che il rimpasto può trasformarsi da iattura in occasione: il modo per spingere Renzi a mettere la firma e la faccia sul governo, con tanto di ministri indicati dalla segreteria del Pd. «Così per Matteo sarà più difficile continuare a spararmi contro». La road map del rimpasto diventa così ambiziosa. Non solo qualche ritocco, con la sostituzione di Stefano Fassina e dei sottosegretari di Forza Italia, ma probabilmente la nascita di un governo tutto nuovo. Un Letta-bis. Con un nuovo passaggio in Parlamento e una nuova fiducia. Insomma, una crisi lampo con un «accordo blindato», con la bollinatura del Quirinale e il via libera in meno di 24 ore, per evitare turbolenze suimercati finanziari. «Prima si stabiliscono le cose da fare e un cronoprogramma stringente, poi si decide quale dovrà essere la squadra in grado di attuarli», confermano nell’entourage del premier.
METODO CONDIVISO
Un metodo, curiosamente, che sembra star bene anche a Renzi. «Il segretario è disposto a fare il sacrificio di rinunciare alle elezioni che vincerebbe facilmente», spiega un parlamentare renziano di alto rango, «ma vuole che sia messo nero su bianco un programma ambizioso, un vero cambio di passo in grado di cambiare volto al Paese. Poi, siglato il patto, va da sé che anche la squadra di governo dovrà essere adeguata alla nuova sfida». «Io questa passione per il rimpasto non la capisco», non perde occasione di ripetere Matteo, «il punto è quello che vogliamo fare, non chi piazzare».
I nomi in gioco però sono numerosi. Il segretario democratico vuole avere il controllo del comparto economico. Così inquadra nel mirino, anche se ormai senza troppa convinzione, il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, ben sapendo che è blindato da Letta, dal Quirinale, dal presidente della Bce Mario Draghi e dalle Cancellerie europee. Così fa sapere che vedrebbe volentieri il licenziamento di Flavio Zanonato, il bersaniano responsabile dello Sviluppo, e di Enrico Giovannini, il ministro del Lavoro “reo” di avere criticato il suo job act. Non solo. In base alla (fondata) osservazione che il Pd non ha ministeri di prima fascia, in caso di un Letta-bis, nel gioco del rimpasto potrebbe finire tritato Angelino Alfano (per il caso Shalabayeva) che conserverebbe il ruolo di vicepremier ma perderebbe l’Interno. In bilico anche la “solita” Anna Maria Cancellieri (Giustizia) e il ministro dell’Agricoltura, Nunzia De Girolamo, trascinata nello scandalo delle Asl.