Si profila per gli statali licenziamenti più facili

Il dibattito si può considerare chiuso. O quasi. A mettere la parola fine a qualsiasi ipotesi di estensione del nuovo articolo 18 modificato dal Jobs act del governo Renzi anche ai lavoratori del pubblico impiego, è stato il ministro della Funzione Pubblica Marianna Madia. Parlando a margine della Commissione Affari costituzionali del Senato, il ministro ha spiegato che per gli statali ci deve sempre essere «la possibilità di reintegro» in caso di licenziamento illegittimo, «anche perché», ha aggiunto, «si licenzia con i soldi di tutti».

Insomma, a differenza del lavoro privato, in quello statale il reintegro nel posto di lavoro deve rimanere la regola e non l’eccezione. Il tema riguarda soprattutto i licenziamenti disciplinari. Su questi è probabile che già oggi il governo depositi una proposta di emendamento all’articolo 13 della legge delega per prevedere semplicemente una semplificazione delle procedure già previste dalla legge Brunetta, le cui regole per i lavoratori pubblici sono state definite da Madia «già dure». La normativa attuale, in effetti, permette di allontanare i lavoratori del pubblico impiego per una numerosa serie di ragioni. Si va dalla falsa attestazione della presenza in servizio, all’assenza ingiustificata per più di tre giorni in un biennio, all’ingiustificato rifiuto al trasferimento (adesso reso obbligatorio entro i 50 chilometri con la nuova mobilità), fino alle gravi condotte aggressive o alle molestie.

IL MECCANISMO
La legge Brunetta prevede un’ipotesi specifica anche per i cosiddetti «fannulloni», il licenziamento per scarso rendimento che lo stesso premier Matteo Renzi ha pubblicamente annunciato di voler rafforzare per i dipendenti statali. In questo caso le norme attuali prevedono che il lavoratore possa essere messo alla porta se riceve una valutazione insufficiente del rendimento per almeno un biennio. Ieri il ministro Madia ha sottolineato come uno dei passaggi fondamentali della delega e dei provvedimenti attuativi, sarà proprio quello di rafforzare e rendere davvero operativi i meccanismi di valutazione che fino ad oggi sono rimasti sulla carta. Il punto centrale, tuttavia, non sono tanto i licenziamenti legittimi, ma quelli illegittimi. Su questi ultimi le differenze tra pubblico e privato rimarranno. Nel caso del privato il reintegro nel posto di lavoro ci sarà soltanto se il fatto materiale di cui è accusato il lavoratore è falso. In tutti gli altri casi il rapporto di lavoro sarà sciolto e il dipendente avrà solo diritto ad un indennizzo crescente in base all’anzianità di servizio fino ad un massimo di 24 mensilità. Per gli statali, in caso di licenziamento dichiarato illegittimo da un giudice, ci sarà invece sempre il reintegro nel posto di lavoro. A differenza dei lavoratori privati, inoltre, per il dipendente pubblico non è mai possibile il licenziamento individuale per motivi economici, mentre sono possibili modalità di esubero collettive, come nel caso delle Province. I dipendenti pubblici messi in mobilità hanno diritto per due anni a ricevere l’80 per cento della retribuzione e, se non vengono ricollocati all’interno della Pubblica amministrazione, il rapporto di lavoro viene sciolto.

 

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