Riforma Fornero, i nuovi pensionati percepiranno un assegno più basso di 3 mila euro
Più vecchi e più poveri. Che la maggior parte dei pensionati italiani dovesse cavarsela con assegni magri (il 40% prende meno di mille euro al mese, e un altro 39% resta comunque sotto i duemila) era noto, ma l’Istat ieri, con il rapporto “trattamenti pensionistici e beneficiari”, ha aggiunto un altro tassello a un quadro già fosco: l’assegno dei nuovi pensionati, quelli che hanno iniziato a riceverlo nel 2014, è più basso di circa tremila euro l’anno rispetto a chi è entrato a far parte della platea degli oltre sedici milioni di pensionati italiani negli anni scorsi. E tremila euro l’anno in meno sono decisamente una bella cifra.
È l’effetto riforma Fornero, che ha modificato il sistema di calcolo dell’assegno eliminando il retributivo (che aveva come base il livello delle ultime buste paga) e facendo passare tutti al contributivo (pro-quota, ovvero per gli anni successivi alla nuova norma). Un sistema certamente più equo, perché si fonda sul principio che ognuno riceverà in base a quanto effettivamente versato, ma che penalizza chi ha visto tagliarsi lo stipendio per colpa della crisi. Di fatto chi è andato in pensione nel 2014 sta ricevendo in media un assegno che non raggiunge nemmeno i 14.000 euro l’anno (13.065 per la precisione), contro una media dei “vecchi” pensionati di 17.000.
Che la riforma Fornero stia producendo gli effetti voluti è evidente anche da un altro dato: negli ultimi tre anni lo stock dei pensionati è diminuito di 400.000 unità (dai 16 milioni e 668.000 del 2011 ai 16 milioni e 259.000 del 2014). Il risultato è evidentemente legato all’innalzamento dell’età pensionabile.
Nonostante i nuovi assegni più bassi, la riduzione della platea e del numero dei trattamenti erogati(-0,5%), però, la spesa per le pensioni resta altissima e in aumento: nel 2014 si è incrementata dell’1,6% arrivando a oltre 277 miliardi di euro (era poco meno di 273 nel 2014). Si mangia ormai il 17,17% del Pil contro il 16,97% del 2013. E ad aumentare il peso non è la parte assistenziale (la cui incidenza sul Pil è scesa dall’1,8% all’1,7%), ma proprio la spesa per i trattamenti previdenziali passata dal 15,2 al 15,4% (nel 2014 – dopo 2 anni di blocco – è ritornata la rivalutazione). Il dato resta comunque diverso da quello fornito dall’Ocse l’altro giorno che indicava un’incidenza sul Pil del 15,7%.
IL CLUB ESCLUSIVO
Potremmo chiamarlo il club dei diecimila: poco meno di diecimila “paperoni” (9.190, lo 0,1% del totale) che ricevono una pensione superiore ai diecimila euro. Trattamenti di “platino”, frutto a volte di carriere veloci e brillanti, a volte di leggine ad hoc che hanno fatto lievitare i calcoli. Spesso suggeriti come il bancomat a cui attingere per risolvere tutta una serie di questioni, in realtà gli importi – individualmente elevati – a livello complessivo si fermano sotto il miliardo e mezzo di euro l’anno, pari allo 0,5% del totale. Aggiungendo i quasi 176.000 pensionati che ricevono assegni tra i cinquemila e i 10.000 euro (0,8% dei trattamenti) la spesa complessiva sfiora i 5 miliardi di euro (5,3% del totale).
La stragrande maggioranza dei pensionati è decisamente lontana da queste cifre. Su 23 milioni e duecentomila trattamenti (un pensionato su quattro ha due o più assegni) più della metà (circa 14 milioni) sono sotto i mille euro al mese, e di questi ben sei milioni, ovvero il 25,7% del totale, è inferiore a 500 euro. Altri tre milioni di trattamenti sono nella fascia tra i mille e i millecinquecento euro. Poi, più l’assegno sale, minore è la pattuglia dei fortunati. E manco a dirlo, donne e Sud sono le “categorie” più povere. Per quanto riguarda l’età, solo uno su quattro ha meno di 65 anni, e un altro 24,9% ha superato gli 80 anni.