Renzi scuote ancora i vertici del Pd
Nel Pd finisce con lettere al segretario a suon di «così non va, non possiamo stare al carro di Berlusconi», con repliche risentite, «nel partito ci vuole un chiarimento», avvertono i bersaniani. Quant’è duro calle stare al governo col Caimano, avrà parafrasato da Firenze il sindaco più citato del momento, Matteo Renzi, che nella giornata del Parlamento «sospeso» causa processo di Berlusconi ha vestito i panni da combattimento puntando dritto a prendere la leadership di quanti nel Pd mal tollerano o non hanno tollerato affatto la gestione politica di tutta la vicenda.
L’ex rottamatore è tornato rottamatore, questa volta di linee politiche più che di persone, è stato in contatto con i suoi parlamentari per tutto il giorno, ha discusso, ha dettato la linea e forse anche la lettera che alcuni deputati renziani hanno poi inviato a Guglielmo Epifani. «Caro segretario, la scelta che è stata presa non è stata discussa nel gruppo, non la condividiamo, fa male al Pd e lede le istituzioni, non possiamo andare al traino di Berlusconi. Smetti di tergiversare, segretario, così non va». E giù accuse, e giù critiche di quelle che fanno male, «così stanno suicidando il Pd», la rasoiata del rottamatore. Finanche uno solitamente mite e controllato come Gianni Cuperlo, riferendosi a una frase di Epifani, sbotta con un «la corda può spezzarsi? Troviamo metodi più efficaci per il suicidio del Pd». Per non parlare di Gianni Pittella: «Il Pd si è inginocchiato al diktat di Berlusconi». Il renziano Paolo Gentiloni ragiona politicamente: «La cosa più preoccupante non è l’avere sbandierato che siamo passati da tre giorni di sospensione a tre ore come se fosse una grande vittoria, è che abbiamo avallato politicamente che il Parlamento si rivolta contro la Cassazione, contro un altro potere dello Stato».
NERVOSISMO TRASVERSALE
Ce n’è quanto basta per innervosire un elefante, e anche uno come Epifani famoso per il suo aplomb, e che intanto ha pensato bene di rinviare la riunione prevista per oggi del comitato sulle regole per il congresso. Si spiega probabilmente così che, passano alcuni minuti, ed ecco Alfredo D’Attorre, bersaniano con l’elmetto, che se ne esce con un comunicato di richiamo all’ordine all’insegna di «ci vogliono lealtà e chiarezza», per concludere con un minaccioso «non è consentito dire a parole di sostenere il governo e poi nei fatti determinare un clima continuo di polemiche interne e posizionamenti precongressuali, nei prossimi giorni ci vorrà un chiarimento di fondo nel partito».
Il Pd è stato sul punto di esplodere anche questa volta, nonostante i problemi veri stiano di fatto tutti o quasi nel campo del Pdl. Ma tant’è. Nel partito già qualcuno ai piani alti del Nazareno ha cominciato a ragionare sul che fare nel caso, non proprio improbabile, salti tutto e si torni a votare. E’ allo studio una sorta di piano B che, in caso di caduta del governo, prevede subito primarie fra Renzi e Letta all’insegna del vinca il migliore (sempre che il premier accetti di scendere in campo contro l’amico Matteo), un segretario tipo reggente nella persona di Roberto Speranza attuale capogruppo, e il congresso rinviato sine die causa crisi. «Se il Pdl provoca la crisi non ci trova certo impreparati, anzi ci fa un gran favore», la tesi dei battaglieri, che fanno però capire che il suddetto piano possa essere messo in giro come deterrente verso il Pdl per convincerlo a più miti consigli. La rivolta democrat contro la sospensiva avallata dal gruppo è stata trasversale, non ha interessato solo i renziani. Rosy Bindi è uscita dall’aula, «non si può avallare l’eversione istituzionale». In trincea anche i prodiani, con Sandra Zampa.