Renzi piega le resistenze del M5S
«Sono scesi dal tetto, per noi è una vittoria che dà più forza alle riforme». Matteo Renzi la spunta. Dopo una giornata di alti e bassi, tra gli insulti di Grillo e le aperture di Di Maio, il confronto con i pentastellati si riapre e fa gioire il premier e, molto istituzionalmente, anche il capo dello Stato Giorgio Napolitano che invita tutti i partiti a non essere inconcludenti sul tema delle riforme.
I numeri per la riforma al Senato «ci sono», spiegano sicuri da palazzo Chigi. Renzi il pallottoliere lo tiene personalmente da tempo, ma non c’è dubbio che la retromarcia del M5S leva molto spazio ai dissidenti di Pd e di FI guidati dal duo Mineo-Minzolini, che Renzi ha ribattezzato «la dinastia Min». La spaccatura dentro il M5S è il risultato politico più rilevante per Renzi. L’alternanza di umori e posizioni dentro al movimento emerge da come i dieci «sì» sono stati accompagnati. Una serie di condizioni e presupposti talmente rigidi da rendere il dialogo complicato, ma ciò che interessa al premier è il risultato politico.
«Hanno capito che erano destinati all’irrilevanza per questo ora si dicono disponibili», sostiene Renzi parlando con i suoi del brusco ripensamento grillino. Dei dieci ”sì” pronunciati dal M5S, il più importante è quello sul ballottaggio. Una disponibilità nuova che va comunque verificata sulla base degli sbarramenti e del premio di maggioranza che i grillini vorrebbero ridurre. I dettagli da chiarire sono ancora molti sulla legge elettorale, ma prima vengono le riforme istituzionali che saranno votate a palazzo Madama in settimana e sul quale resta il ”no secco del premier al Senato elettivo. «A Bruxelles vogliono riforme fatte e non promesse e questa l’abbiamo avanzata sin dai tempi dell’Ulivo», ripeteva ieri il premier riferendosi alla fine del bicameralismo. Le resistenze sono però molte, compresa «la resistenza passiva della burocrazia», che confida ancora sul rinvio per tentare di affossare anche questo tentativo.
Renzi ha però fretta e vuole presentarsi al Consiglio europeo straordinario del 16 luglio avendo già incassato due dei quattro passaggi parlamentari. Lo scambio tra riforme e flessibilità, fatto con Berlino e Bruxelles, è fondamentale per il presidente del Consiglio e la prima riforma, peraltro a costo zero per la collettività, è quella del Senato e del Titolo V. «Se non manteniamo gli impegni nei tempi stabiliti, rischiamo di farci ridere dietro dai cittadini e dalle istituzioni europee», è il mantra che Renzi pronuncia da giorni quando constata «l’irresponsabile atteggiamento» di alcuni esponenti del Pd.
Poiché non c’é nulla che non si possa discutere in aula, Matteo Renzi alla riunione dei senatori del Pd aveva deciso da qualche giorno di non andare. Ovvero da quando è risultato evidente che nel M5S permane la spaccatura tra dialoganti e falchi e che nessun fronte si sarebbe saldato con i dissidenti di Pd e FI.
Le rassicurazioni provenienti da Forza Italia sulla tenuta del patto del Nazareno, avevano ieri mattina definitivamente tranquillizzato l’inquilino di palazzo Chigi. D’altra parte anche Silvio Berlusconi, dopo la riunione-sfogatoio della scorsa settimana, ha deciso di soprassedere e di non convocare per oggi una nuova riunione preferendo il corpo a corpo. Ovvero il colloquio diretto, ad uno ad uno, dei possibili malpancisti. Si va avanti, quindi, con il patto del Nazareno e il testo messo a punto dal ministro Boschi che andrà giovedì in Aula e che la prossima settimana dovrebbe finire all’attenzione della commissione Affari costituzionali della Camera. Sulla legge elettorale si potrà invece aprire un tavolo con il M5S che è poi l’unico motivo che ha spinto le colombe pentastellate a tornare al tavolo offrendo a Renzi anche un secondo forno di trattativa dopo quello, super collaudato, che Silvio Berlusconi e famiglia tengono aperto.