Renzi: nella Ue vince la crescita, ora bisogna cambiare l’Italia
«Chi fa le riforme strutturali ha diritto alla flessibilitá». Dal vertice «tosto e complicato», Matteo Renzi esce col bicchiere mezzo pieno e ne è consapevole quando spiega che la «la battaglia prosegue» ma che «per la prima volta si è ribadito che viola il trattato anche chi parla solo di stabilitá e non di crescita». Nel documento finale che sblocca la nomina di Jean Claude Juncker a presidente della Commissione e che viene pomposamente definito “Agenda strategica per l’ Unione in tempi di cambiamento”, la flessibilitá non viene declinata nel concreto come avrebbe voluto l’Italia, ma ci si limita ad auspicare un «miglior uso delle flessibillitá prevista dai patti».
LE OMISSIONI
Non ci sono indicazioni nuove sull’uso dei fondi strutturali, ma ci si limita ad auspicarne «un pieno uso», così come per i debiti della pubblica amministrazione, sui quali l’Italia rischia una procedura d’infrazione, non sono previsti scomputi automatici. Tuttavia Renzi considera «molto buono dal punto vista della sostanza il documento europeo: per la prima volta il focus è sulla crescita, insistere sulla crescita è una svolta dell’Europa». Per questo – spiega – «ho votato a nome dell’Italia per Juncker in una procedura che si è esplicitata in una maggioranza, perché c’era un documento, non l’avrei fatto senza documento». «Se un Paese fa le riforme strutturali sul serio – ripete il presidente del Consiglio – ha diritto alla flessibilità più ampia». E «noi non vogliamo violare le regole del patto di stabilità», dice Renzi rivolto all’Italia e al suo governo che deve «fare le riforme e inserire una marcia molto più rapida». Mille giorni dal primo settembre 2014, un «countdown» sul sito del Governo, dove «saranno indicate una serie di iniziative a cui stiamo già lavorando, per dimostrare in Europa e non solo che facciamo sul serio» e che vogliamo «cambiare faccia all’Italia».
IL FACCIA A FACCIA CON ANGELA
E che l’Italia debba ancora dimostrare ai partner europei, dopo anni di pacche sulle spalle e polemiche sulla lunghezza dei cetrioli, di aver cambiato marcia, lo conferma il vertice bilaterale che ieri mattina Renzi ha avuto con la Cancelliera Merkel dopo lo scontro della sera precedente nel quale il premier le aveva ricordato davanti a tutti «che l’Italia non farà come la Germania nel 2003», quando chiese e ottenne dal governo Berlusconi-Tremonti (che in quel momento guidavano il semestre di presidenza Ue) il via libera a sforare i patti.
Uno scontro ricomposto poche ore dopo e al termine di una nottata nella quale gli sherpa dei Ventotto hanno lavorato per dosare il testo lavorando più sui sinonimi e gli aggettivi che sui contenuti. Alla fine Juncker passa con i soli voti contrari di Gran Bretagna e Ungheria. La frattura con Londra non permette a Berlino altre tensioni. Tantomeno con Roma che tra qualche giorno prenderà la guida del semestre. D’altra parte alla Merkel il giovane primo ministro italiano piace per quella sua voglia di fare e perché non scarica sui politici tedeschi le colpe di quelli italiani e le ha prospettato un coraggioso piano di riforme al quale dà «il benvenuto».
CAUTA SODDISFAZIONE
È anche per questo che la Merkel, al termine del vertice, definisce Matteo Renzi «un premier di grande successo e che penso possa essere contento quanto me». La cauta soddisfazione di Renzi, che carica l’Italia di un grande lavoro, è condivisa e anticipata dal sottosegretario Sandro Gozi che parla anche «della possibilità di sviluppare strumenti finanziari per progetti d’investimento nel lungo periodo», mentre per Davide Sassoli, «si tratta di una svolta per un’Europa che svolti pagina».
Il capitolo delle restanti nomine slitta al 16 giugno, ma su questo punto Renzi sguscia sulle possibilità della Mogherini di assumere il ruolo di rappresentante della politica estera europea, ma è secco sulle possibilità di Enrico Letta, un nome «che leggo sui giornali ma che non sento nelle cancellerie» perchè l’Italia con Mario Draghi già occupa una delle tre presidenze più importanti. Un messaggio chiaro alla minoranza Dem che anticipa il rientro a Roma da Bruxelles dove a volte «manca l’aria e si mangia di continuo».