Partito democratico verso il Congresso
Vola, nei sondaggi e nelle adesioni, la popolarità di Matteo Renzi che due italiani su tre vorrebbero vedere alla guida del Pd. Anche Massimo D’Alema, uno che si vanta di aver vinto tutti i congressi, parla di un «vincitore annunciato» e ammette che la sfida tra il suo Gianni Cuperlo, e il sindaco sarà «impari», alla fine «anche Enrico Letta lo sosterrà perché non può permettersi di perdere in congresso». Ma il rottamatore fa mostra di umiltà: «Ho già vinto? Intanto convochino il congresso», si divincola Renzi che liquida come inutile la conta sul «su chi sta con chi» perché, alla fine, al di là degli accordi, lui premierà «i bravi e non i fedeli».
In meno di una settimana, da quando a Genova ha di fatto annunciato la sua candidatura, Renzi ha ribaltato
alleanze e pesi di forza dentro il partito. Oltre che sui territori, dove ogni giorno aumentano le alzate di mano degli amministratori locali, è al vertice del partito che sembra scattata la corsa a salire sul carro del vincitore. Gli unici rivali sono: Massimo D’Alema che sosterrebbe Renzi come candidato premier ma lo «combatterà con le forze a disposizione», con Cuperlo, alla leadership del Pd; Pier Luigi Bersani, ancora senza candidato ma che di certo non sceglierà l’ex rivale. E Rosy Bindi che vorrebbe schierare un suo candidato e, a quanto si apprende, avrebbe sondato Filippo Andreatta.
E sono proprio gli ultimi a essere saliti sul carro del sindaco (fra cui il ministroDario Franceschini) a scatenare il sarcasmo di D’Alema. «È lotta impari con Renzi ma noi ci batteremo con le forze meno rumorose di cui disponiamo. Lui ha l’appoggio di tutto l’establishment, dei giornali, delle tv e di molti dirigenti. Lui parla di rivoluzione ma è una «strana rivoluzione la sua. Con lui si è schierata con gran parte dei dirigenti del Pd. E’ come se i rivoluzionari avessero assalito al Bastaglia insieme al re, la regina, i conti e i marchesi», ha detto sabato sera l’ex premier alla festa del Pd.
«Vedo tante conversioni – ha proseguito -. C’è chi lo fa per convinzione, chi per opportunismo. Renzi fa una promessa suggestiva: con me si vince. Peccato che non ci siano le elezioni…», ha continuto l’ex premier. «Come diceva Ennio Flaiano: il principale sport nazionale correre in soccorso del vincitore», ha aggiunto.
«Cuperlo è uomo di grande moralità politica, grande cultura, grandi qualità umana. È timido. Ha scritto uno dei documenti più belli che abbia letto. Lui e Fabrizio Barca hanno scritto i documenti migliori. Uno che si candida a fare il segretario e ha tutte le qualità per farlo e annuncia di non volersi candidare a cariche pubbliche è l’uomo giusto», ha poi sostenuto D’Alema.
«Se ci fossero le elezioni e dovessi votare alle primarie per il premier non escludo che voterei Renzi», ha comunque affermato ancora D’Alema.
Letta ufficialmente intanto non si schiera ma molti dei suoi, dopo travagliate discussioni, dovrebbero stare con Renzi. E D’Alema prevede che alla fine anche l’ex vicesegretario del Pd benedirà il sindaco perché non può averlo come nemico. «Ho visto tante conversioni in questi giorni – è la zampata di D’Alema – io ho stima per Renzi ma ho un certo fastidio per un certo numero di suoi sostenitori, c’è un limite: si possono perdere i congressi ma non la dignità».
Anche il rottamatore è consapevole che l’appoggio di buona parte della vecchia guardia è un limite, una zavorra nel suo messaggio di innovazione. Per questo anche sabato, da Piombino, ha schivato ogni valutazione sui nuovi sostegni a suo favore. «L’unico carro che conosco è il Brindellone che a Firenze facciamo scoppiare a Pasqua. Sconsiglio quindi di salirci», scherza con i giornalisti. Mettendo però in chiaro che le sue parole d’ordine non cambieranno: «O il Pd cambia o è condannato a perdere. E la prima cosa da rottamare sono le correnti, se si vince vanno avanti quelli bravi e non quelli fedeli, quelli infrattati nelle sedi nazionali».
Ma se il merito accomuna Renzi a tutti i candidati, c’è un aspetto che separa anni luce il rottamatore da
Cuperlo: l’idea della leadership e del partito. «Sono d’accordo che non deve essere un partito personale ma nemmeno impersonale. Un leader serve se no traccheggi», è l’attacco del sindaco che guarda più al partito leggero di Veltroni che al modello indicato dall’ex diessino. Perché solo un leader, è il sottotesto del sindaco di Firenze, non ha «paura» di aprire il partito al nuovo e di realizzare una sinistra che finalmente vince, «andando a prendersi il voto degli altri», dei delusi di Silvio Berlusconi e di Beppe Grillo. Che poi è meglio, è la frecciata al governo di larghe intese, che andare, dopo le elezioni, «a prendersi i ministri altrui».