Nola, lettera del vescovo Marino in vista delle elezioni del prossimo 4 marzo
Carissimi,
considerando le parole che Aldo Moro, pensoso testimone cristiano della politica, pronunciava nel lontano 1963, «Non si tratta solo di essere più efficienti, ma anche più profondamente capaci di comprensione, più veramente partecipi, più impegnati a far cogliere in noi non solo un’azione più pronta, ma un impegno di tutta la vita, un’anima nuova che sia all’unisono con l’anima del mondo che cambia, per essere migliore e più giusto. Il nostro dovere è oggi dunque estremamente complesso e difficile», esse mi sono sembrate assolutamente attuali e in grado di descrivere la situazione sociale, culturale e politica del nostro tempo presente. Siamo a ridosso di una tornata elettorale cui si accompagnano poco le parole della speranza (partecipazione, coinvolgimento, passione, futuro) e molto, invece, le parole della paura (indifferenza, disillusione, distanza…). Un dato di fatto che dovrebbe essere oggetto di profonda riflessione da parte di tutti: della classe dirigente e dei cittadini, della Chiesa e dei corpi intermedi. Se siamo arrivati a questo stato di cose, per cui una competizione elettorale diventa una competizione personale che esclude e non include ampi strati della popolazione, vuol dire che la lezione storica dei Padri costituenti e delle donne e degli uomini più avveduti dell’agire politico è stata trascurata: comprensione, partecipazione, ascolto della vita e del mondo, bene comune, queste categorie sono diventate buone più per discorsi retorici che per animare l’azione concreta. Sta però a me come pastore, ma anche a noi tutti come Chiesa, ‘azzardare’ una speranza che illumini queste oggettive difficoltà. Intanto, va riaffermato un principio semplice e per nulla ingenuo: non votare non apporta alcun miglioramento alla vita del Paese e dei nostri territori. La contrazione del corpo elettorale non fa che aumentare il peso specifico di chi ha interessi contrari al bene comune e aggrega pezzi di consenso non sano. Sebbene in un sistema di voto che ancora una volta riduce al minimo la facoltà di scelta, è possibile individuare criteri per operare una propria scelta. In questo senso, invito tutti, anche unendo le forze, a offrire momenti informativi e formativi equilibrati che aiutino credenti e non a ritrovare le motivazioni più profonde del momento elettorale. Un altro elemento di speranza è nella vitalità del territorio, nel desiderio di bene delle nuove generazioni, nella tenuta del tessuto familiare che ha consentito di affrontare con dignità una crisi durissima. Questi frammenti di luce meritano una rappresentanza seria e competente nelle istituzioni. In questo senso, il momento del voto sia l’inizio di un processo nuovo nel rapporto con gli eletti e nella capacità dei cittadini di organizzarsi per rappresentare al meglio le istanze del territorio. Un terzo elemento di speranza – e di premura – sono i nostri ragazzi e i giovani. Loro più di noi adulti sono esposti a un rischio grande: se crescono in un contesto di totale e passiva sfiducia nelle istituzioni, sarà più semplice per loro pensare che la democrazia e le istituzioni democratiche siano un inutile orpello dentro un processo economico e civile che non ha bisogno di confronto, dialogo, rappresentanza, politica. È un rischio che non possiamo correre. Anche per questo noi adulti siamo chiamati ad un di più di responsabilità per spiegare con parole nuove e sentite l’importanza di essere un popolo che cammina insieme, e non diviso in fazioni preconcette, in una parabola difficile della storia. In nome di queste tre grandi speranze, lancio il mio appello perché si partecipi al voto, individuando nelle liste – ed è possibile – la presenza di candidati in grado di garantire rigore morale, competenza e senso di giustizia, tenendo conto dei valori costituzionali fondamentali della persona umana, della famiglia e delle comunità. Ma so di non poter fermare qui la mia riflessione. Nel mentre mi rivolgo ai cittadini e li invito a vincere i sentimenti di sfiducia, è doveroso rivolgermi al ceto politico che si candida a rappresentare il nostro eterogeneo territorio. Sino ad ora la campagna elettorale nazionale si è caratterizzata per urla, slogan, polemiche sterili e proposte con deficit di credibilità. Nei pochi giorni che restano al 4 marzo, vi esorto, con umiltà e fraternità, a osare un cambio di registro. Vi esorto, se potete, a confidare di meno su un voto di opinione spinto dal dibattito nazionale e a incontrare più che potete quelle vite normali e apparentemente anonime e ordinarie che tengono in piedi il Paese. Un bagno tra la nostra gente, per scoprire o riscoprire con quale forza di volontà abbiano fatto fronte alle difficoltà del lavoro, con quale capacità intelligente e solidale i nostri concittadini si siano fatti carico delle attività produttive, delle cure, della casa, dell’assistenza ad anziani e disabili e dei servizi volontari. Anche in considerazione di ciò, desideriamo una politica, e un ceto politico, che sappia ripartire dalle persone e dalle comunità e che sappia far emergere proposte e progetti dal vissuto reale delle famiglie, dalle attese e speranze dei giovani e del vasto mondo del disagio sociale. A voi, candidati, propongo anche un altro passo in avanti rispetto al passato: se sarete eletti, distinguete tra la battaglia politica che riguarda le parti che rappresentate e la tutela del territorio dal quale ricevete i voti per andare in Parlamento. Provate ad essere uniti, a condividere un minimo di visione e progettualità comune. Anche accompagnati dalla Chiesa e dalla comunità cristiana, cercate, da eletti dello stesso territorio, quel bene comune da perseguire insieme. Sarebbe una piccola profezia e aiuterebbe i cittadini a credere che la buona politica è ancora possibile. Infine, mi viene naturale sottolineare il momento dell’anno liturgico in cui cade la contesa elettorale. La Quaresima è tempo di riflessione, discernimento, silenzio, digiuno. Sono buone indicazioni per i cittadini tutti, gli elettori e i candidati. Per i cittadini, è l’occasione di fare un vaglio profondo non solo delle omissioni relative alla vita privata, ma anche delle omissioni che riguardano le proprie responsabilità sociali e comunitarie, politiche nel senso più ampio del termine. Per i politici, è l’occasione di “digiunare” dalla sterile tentazione di una poltrona fine a se stessa e per ritrovare – e qui richiamo lo stralcio iniziale di Aldo Moro – la capacità di leggere questo tempo e servirlo meglio. A tutti, con affetto fraterno, auguro di arrivare al 4 marzo con una nuova passione civile