Legge elettorale, Renzi e Berlusconi: la riforma non cambia
«Il governo faccia proposte, si muova. Compia la svolta che sollecita anche Prodi. Nessuno impedisce di governare a Letta come ad Alfano, che è ministro e vicepremier». Ernesto Carbone, da buon renziano, anche se continua a nutrire scetticismo sulla formula che regge l’attuale governo, sbuffa per il continuo pressing del Nuovo centrodestra: «Noi siamo leali e sosteniamo questo governo, non vedo il problema».
PATTO
Eppure per i centristi di Alfano un problema c’è e si chiama patto di programma che il segretario del Pd, in attesa di incassare il via libera della Camera alla legge elettorale, continua a procrastinare. Giovedì dovrebbe tenersi la direzione del partito nella quale Letta illustrerà le cose da fare e Renzi metterà sul tappeto il jobs act e la riforma del Titolo V. Al dibattito che ne seguirà anche dopo la direzione del Pd, si metterà un punto fermo dopo il 15,giorno nel quale la legge elettorale dovrebbe uscire da Montecitorio.
Senza l’Italicum in tasca il segretario del Pd non metterà benzina nella macchina del governo anche se crede molto poco alle minacce di Schifani su un possibile disimpegno dal governo del Ncd. Una minaccia, quella del voto a maggio, che ieri, parlando al Corriere, Berlusconi ha scartato calcolando che per fare anche le riforme istituzionali occorrerà «ancora più di un anno».
FIDUCIA
La partita vera, nascosta dalle punzecchiature centriste, si gioca ancora sulle possibili modifiche al ddl elettorale appena giunto in aula, la cui discussione riprenderà solo l’11 del mese. In mezzo il varo di due decreti in scadenza, svuota carceri e destinazione Italia, che attendono da tempo la conversione e sui quali non è esclusa – specie sul primo – il voto di fiducia. Martedì della prossima settimana si riprenderà sulla legge elettorale e le ventidue ore di dibattito concesse dalla presidenza della Camera, potrebbero portare al voto entro la settimana.
I fautori delle modifiche hanno quindi altri dieci giorni per discuterne. Sul piatto restano i possibili ritocchi alla soglia di sbarramento del 4,5 e le preferenze che il Ncd continua a chiedere a gran voce, dimenticando – come sostengono al Nazareno – che «un Parlamento di nominati», come essi stessi definiscono l’attuale, difficilmente accetterà di inserire un sistema di selezione così radicalmente diverso come il voto di preferenza. C’è però un macigno che pesa sulla possibilità di ulteriori modifiche. Il «no» pronunciato anche ieri da Silvio Berlusconi che avrebbe chiuso alla tentazione del segretario del Pd di concedere – magari durante il passaggio della legge al Senato – un ulteriore ammorbidimento della soglia di sbarramento per i partiti coalizzati.
PANCIA
L’intesa Renzi-Berlusconi sembra reggere anche alla ”pancia” del Cavaliere che quando riflette sul suo destino giudiziario ”cinico e baro”, ha lo stesso travaso di bile del giorno della sentenza di condanna della Cassazione. Una conferma si è avuta ieri l’altro a Cagliari quando Berlusconi è tornato ad attaccare Napolitano, costringendo il super-renziano Lorenzo Guerini ad una secca presa di distanza. Partecipare alla riscrittura delle regole è però un’occasione troppo ghiotta che il Cavaliere ha per tornare in pista. Un’opportunità sulla quale spinge anche l’ala aziendale di FI che negli ultimi mesi, grazie a Mauro Crippa, ha preso il sopravvento nel partito al punto da scatenare la reazione di chi, come Raffaele Fitto, non ci sta a farsi guidare dalla new entry Giovanni Toti.
Le tensioni nel centrodestra, destinate ad aumentare con l’avvicinarsi del 10 aprile (giorno nel quale si dovrebbe conoscere se e come Berlusconi sarà affidato ai servizi sociali), spingono Renzi a tenere serrata la tabella di marcia che punta al voto finale prima delle elezioni Europee. Un appuntamento, quello di maggio, che servirà a pesare partiti e partitini che stavolta potranno contare su uno sbarramento al 4% e sulle preferenze.