La Fiat punta decisamente al mercato italiano

Il mondo dell’auto punta i riflettori su Detroit dove domani Sergio Marchionne illustrerà il futuro di FCA, il gigante globale nato dall’acquisizione di Chrysler che avrà sede legalead Amsterdam e fiscale a Londra, dove si terranno anche le riunioni del Cda.

È quasi certo, inoltre, che entro l’anno la nuova società verrà quotata a Wall Street, attirando capitali freschi e incrementando il valore. Un’operazione senza dubbio frutto del coraggio e della determinazione del manager italo-canadese che, nel pieno della crisi finanziaria del 2008, intuì come un costruttore americano in stato fallimentare, con alle spalle un recente passato molto travagliato, sarebbe potuto diventare l’ancora di salvataggio per Fiat. Fare di due debolezze una forza, in pochi ci credevano, nessuno ci avrebbe scommesso. Conclusa la fusione a costi senza dubbio vantaggiosi e definita la struttura di una società con risultati finanziari tutto sommato sani, Marchionne passa a modellare la parte industriale di un colosso ormai unico.

Questo aspetto, in realtà, è andato addirittura più veloce della scalata societaria già rapida (la definitiva uscita del fondo Veba era prevista più avanti visti anche gli ostacoli giudiziari) e, da subito dopo l’accordo realizzato con la regia di Washington, il Lingotto ha iniziato ad integrare la struttura operativa, affidando ai manager del neocostituito Gec (Group Executive Council, il Comitato ristretto del Gruppo) ruoli in entrambe le società per coordinare il network delle fabbriche e della distribuzione. Realizzata la fase del consolidamento arriva quella dell’espansione e Marchionne stesso in diverse occasioni ha anticipato le linee guida del piano di cui domani svelerà i dettagli.

Abilissimo nel gestire operazione difficili, l’ad di Fiat in realtà non è quasi mai riuscito a rispettare gli obiettivi industriali annunciati, giustificandosi spesso con il cambio degli scenari che lui stesso aveva determinato (l’acquisizione di Chrysler). È proprio per questo che, dopo il “ritiro” di Fabbrica Italia (1,4 milioni di veicoli l’anno da produrre nel nostro paese), aveva annunciato di non renderli più pubblici poiché «nessuno dei nostri rivali lo fa». Ora i rischi sembrano diventati opportunità e il manager ha rivisto le posizioni.

FCA è una realtà globale sufficientemente forte e strutturata, ma non genera molti profitti (nel 2013 non c’è stato dividendo) ed è ancora piccola rispetto ai primi 4 protagonisti del pianeta (Toyota, Volkswagen, General Motors e Renault-Nissan), tutti già sopra gli 8 milioni di veicoli l’anno, con i primi due determinati a superare già nel 2014 la storica barriera dei 10 milioni. È indispensabile crescere, soprattutto ritagliarsi una posizione di maggior rilievo in mercati di grande importanza come Cina, India e Russia. Attualmente FCA dipende molto dal Nord America, è leader in Sudamerica e ha una presenza storica ma affaticata in Europa.

Per crescere servono investimenti e i capitali necessari si attirano più facilmente se si indica con precisione agli analisti cosa si vuol fare in futuro. Un passaggio che, bisogna riconoscerlo, pochi fanno con così tanta precisione. Marchionne non ha mai negato che, dopo la quotazione, sarebbe stata presa in considerazione l’ipotesi di un rafforzamento del capitale, magari non con la formula dell’aumento «che distrugge valore per gli azionisti». Esclusa anche la dismissione di asset strategici, la strada più probabile è di finanziarsi sul mercato, magari con un convertendo. Il piano quinquennale riguarderà modelli di tutti i marchi del Gruppo e l’intero network industriale e tecnologico.

Le fabbriche Chrysler già viaggiano a pieno regime, c’è grande attesa per quelle di Fiat che soprattutto in Italia devono far rientrare numerosi addetti dalla cassa integrazione. Il piano, che prima doveva essere triennale (al salone di Detroit Marchionne aveva dichiarato di rimanere al comando il tempo necessario per portarlo a termine) e poi è stato reso ancora più impegnativo spostando la scadenza a 5 anni, punterà forte sull’Alfa che dovrebbe avere 6 nuovi modelli e una produzione annuale vicina a 500 mila unità.

Alla recente assemblea degli azionisti (l’ultima a Torino)l’ad ha anticipato che nel 2018 FCA produrrà fra i 6 e i 7 milioni di veicoli l’anno, questo chiaramente con le forze attuali, senza cioè considerare possibili alleanze peraltro mai escluse. Marchionne nelle ultime settimane è stato molto impegnato sul dossier fra Torino e Detroit, tanto che non è nemmeno andato al salone di Pechino dove ha lasciato a Manley (uno dei suoi più autorevoli delfini) l’onore di annunciare l’ulteriore accordo con Gac per produrre tre modelli di Jeep in Cina iniziando dal 2015.

 

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