Iter delle riforme: alla Camera è caos con rissa
Rissa in aula alla Camera, con deputati in piedi sui banchi che si scagliano l’uno contro l’altro. Il vicepresidente Roberto Giachetti ha sospeso la seduta.
In un clima di forte tensione per la bagarre causata dal Movimento 5 stelle, la rissa è scoppiata improvvisamente tra un deputato di Sel e uno del Pd, con il primo che si è slanciato verso il secondo gridando «pezzo di m…».
Dopo la bagarre in Aula e soprattutto dopo la rissa tra deputati di Pd e di Sel, i gruppi di M5s, Fi e Lega hanno chiesto ripetutamente di interrompere i lavori e di riprenderli venerdì mattina. Il vicepresidente di turno Giachetti ha spiegato che ciò non era possibile, ma ha acceduto alla richiesta di Gianluca Pini di una breve interruzione «per prendere un caffè» e ritrovare un clima più sereno. Poi di nuovo via ai lavori notturni.
La proposta di mediazione avanzata ad inizio serata da M5s «è superata dagli episodi incresciosi accaduti in Aula», ha detto Carlo Sibilia (M5s), in aula. «Dopo quello che è accaduto – ha aggiunto – non ci sentiamo di mettere la tessera nella fessura come se niente fosse».
Il relatore alle riforme Emanuele Fiano (Pd) aveva detto di essere favorevole all’iniziale mediazione proposta da M5s, per l’accantonamento dell’articolo 15 delle riforme e votarlo a marzo con il voto finale sul ddl, ma in tutta risposta Riccardo Fraccaro a nome di M5s ha definito «una presa in giro» questa risposta.
Il governo aveva tentato un accordo con il M5s, ma la condizione posta da quest’ultimo, e cioè l’approvazione di tre propri emendamenti, era stata giudicata non accettabile, cosa che ha provocato la reazione sdegnata dei pentastellati che, pur rimanendo in aula, non hanno preso parte dalle votazioni. E tensioni si sono manifestate anche nella maggioranza, compresa una mancanza di numero legale che ha provocato l’irritazione della presidente Laura Boldrini. Mentre Forza Italia, nel rimarcare il suo disappunto per la marcia a tappe forzate imposta dal governo, si appella al Capo dello Stato Sergio Mattarella.
Da Bruxelles interviene Matteo Renzi con un avvertimento: «Stupisce che ci sia chi esprime non tanto un dissenso, che sarebbe legittimo, ma che siccome ha le idee in minoranza prova a fare ostruzionismo e tentativi di blocco. La nostra maggioranza non si blocca. Molto bene, avanti tutta».
M5s rimane il gruppo di opposizione che in nottata ha praticato con più vigore il filibustering, con continui interventi sull’ordine dei lavori e sul regolamento, che hanno di fatto bloccato il voto sugli emendamenti, ridottisi notevolmente dopo che Fi e Lega hanno ritirato quelli ostruzionistici. Di qui il tentativo del relatore Emanuele Fiano, del vicecapogruppo del Pd Ettore Rosato e del governo, di trovare una intesa con M5s per sbloccare i lavori.
I Pentastellati hanno posto però come condizioni l’approvazione di un certo numero di emendamenti (inizialmente sette e poi scesi a tre) tesi a favorire
la «democrazia diretta»: eliminazione del quorum nei referendum, obbligo della Camera di esaminare le leggi di iniziativa popolare, possibilità delle minoranze parlamentari di ricorrere alla Corte costituzionale (l’attuale testo del ddl lo ammette solo per le leggi elettorali). Le richieste sono state però respinte da Pd e governo, provocando anche l’ira di Beppe Grillo sul blog.
In aula i deputati di M5s hanno proseguito la loro battaglia ostruzionistica, marcando con la non partecipazione alle votazioni il dissenso rispetto alla decisione della seduta fiume. Quest’ultima poi viene
dichiarata illegittima anche dalle altre opposizioni, tanto che il capogruppo di Fi Renato Brunetta ha chiamato in causa il presidente della Repubblica Mattarella.
Ma la tensione è altissima anche dentro la maggioranza, a causa dei «niet» opposti dal ministro Maria Elena Boschi a numerosi emendamenti. Una «rigidità», secondo Alfredo D’Attorre della minoranza
del Pd, che dopo la fine del Patto del Nazareno, risulta «incomprensibile e comica». In particolare la minoranza del Pd insiste affinchè sia inserita la norma transitoria che permetta un giudizio preventivo della Corte costituzionale sull’Italicum: emendamento su cui c’era il veto di Fi, che però ora si è sottratta al Patto.