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Nola – Il nuovo videogioco sui Pokemon è uscito da circa un mese ed è diventato già un fenomeno mondiale. Per chi ancora non lo sapesse, “Pokémon Go” è un’applicazione disponibile gratuitamente per smartphone Android e iOS che sfrutta la tecnologia della realtà aumentata. Grazie al supporto di quest’ultima e del GPS, i giocatori si trasformano in allenatori di Pokemon virtuali che devono andare in giro per la città cercando di catturarne il più numero possibile (i Pokemon, infatti, compariranno nell’ambiente in cui si trova il cacciatore), conquistare palestre e guadagnare soldi per le “Poké Ball” (oggetti di forma sferica usati per afferrare le figure animate). L’applicazione nasce dall’idea della società di sviluppo software, “Niantic”, e dell’azienda giapponese di videogiochi e console, Nintendo, di accontentare i più nostalgici del cartone nella realizzazione di un nuovo gioco in cui i Pokemon tornano ad essere protagonisti, ma in una versione più tecnologica e più vicina al quotidiano. Non solo i più giovani appassionati della serie, ma anche gli adulti sono attratti dalla nuova interattiva applicazione. Insomma, “Pokémon Go” non ha sesso, età e può essere usato da tutti in qualsiasi momento. Ed è proprio questo che è sbagliato: le modalità d’uso e il tempo impiegato. Nell’ultimo periodo, in varie parti del mondo, si sentono notizie di cronaca nera a causa di tale applicazione, il cui funzionamento si sta sfociando in un nuovo mezzo di omicidi involontari. Quello che sembrava un gioco innocuo, si sta dimostrando un’avversità per la salute e la sicurezza dell’umanità. Così come la “pokémon mania” ha contagiato il nolano, anche in questo territorio si stanno verificando spiacevoli episodi per colpa di quelli che sarebbero “animaletti simpatici”. Come non citare la vicenda della ragazza che ha avuto una contusione al gomito, in quanto urtata nei pressi di San Paolo Belsito da un’autovettura, il cui conducente ha poi dichiarato di essersi “distratto un attimo” perché aveva visto un Pokemon e voleva catturarlo. Come non riscontrare i problemi fisici e psicologici che l’app causa, ad esempio: oltre al bruciore agli occhi per l’uso prolungato, si avvertono i dolori al collo visto che rimane per lungo tempo piegato e con lo sguardo rivolto verso lo smartphone; oppure l’idea di uscire con gli amici, in queste afose giornate, soltanto per giocare a “Pokémon Go” e non magari per andare a prendere un buon gelato. La comunicazione, a sua volta, si sta evolvendo sotto il linguaggio “pokémoniano” e ciò può risultare nocivo per il livello dialettico/culturale dell’“allenatore”. Mai come in questo caso sarebbe l’ideale che ogni giocatore assumesse il principio oraziano dell’“aurea mediocritas”, ossia del “giusto mezzo”, fin quando il gioco in questione perderà il suo “effetto novità”. Perché poi si sa che “le mode vanno e vengono”.
di Nicola Compagnone