Il Ministro Cancellieri in attesa dell’audizione dichiara di non dimettersi
«Mah, mi fa male il braccio, spero di operarmi presto. Però sì, sono serena», quindi entra nella Lancia Thesis di servizio e se ne va.
Il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri chiude con un mezzo sorriso la prima giornata di battaglia. Decisa a rispondere con un «non mi dimetto» a chi l’accusa di aver mostrato un rapporto «particolare» con la famiglia Ligresti, per tornare nell’arena il ministro ha scelto una platea che le è amica: il congresso dei Radicali italiani, dove non solo la collega Emma Bonino ma anche Marco Pannella e Rita Bernardini la attendono dandole del tu ed esprimendole tutta la solidarietà contro il «tentativo di linciaggio». Appena arrivata si siede in mezzo a loro, poi sale sul palco, spiega tutti gli interventi che ha in mente sul carcere, fa un nuovo appello per amnistia e indulto, e si commuove: «Vi dico solo… che voglio vivere in un paese libero. In un paese in cui l’onestà intellettuale deve essere un patrimonio condiviso. Tra i miei doveri c’è sicuramente quello di rispettare la legge in modo rigoroso, ma ho anche il diritto ad essere un essere umano».
IL PARALLELO CON BIAGI
Alle Camere andrà martedì, per chiarire e tener testa alla mozione di sfiducia del Movimento 5 Stelle. Ma la sua linea già l’anticipa. Ed è di fermezza assoluta. Non ha intenzione di fare un passo indietro: «Si dimette qualcuno che da da farsi perdonare qualcosa. Se il Paese non ha più bisogno di me non c’è che da dirlo». E’ soprattutto sull’intervento a favore di Giulia Ligresti, finita in carcere con gli altri familiari, che è convinta di aver fatto la cosa giusta. Perché di segnalazioni analoghe dice di averne ricevute migliaia e più di cento hanno avuto un seguito. Giulia Ligresti era praticamente un’amica di famiglia a differenza degli altri detenuti? «E chissene frega. Il mio era un dovere, un dovere d’ufficio». Si spazientisce: «Quello per lei è uno dei tanti interventi inusuali che sono costretta a fare in una situazione emergenziale come quella delle carceri. Non è usuale nemmeno che io giri per le carceri, raccolga i bigliettini dei detenuti e cerchi di capire e se del caso aiutare». Il parallelo è con il giuslavorista Marco Biagi ucciso dalle Brigate rosse sebbene avesse protestato quando gli hanno tolto la scorta: «Ve lo ricordate? E’ ancora una ferita aperta. Se Giulia Ligresti -ha detto il ministro- si fosse uccisa, e io ero al corrente delle sue condizioni, non sarei stata responsabile della sua morte, della morte di una madre con dei bambini?».
SEGNALAZIONI E TELEFONATE
Respinte le accuse anche le accuse nel verbale di Salvatore Ligresti che avrebbe detto di averla aiutata facendo il suo nome con Berlusconi: «Una persona in difficoltà perde la testa. Ma io ho fatto il prefetto con Mancino, con Amato, con otto ministri diversi. Chiedete a loro se qualcuno si è mai permesso di segnalare il mio nome, ho fatto strada con le mie gambe». C’è poi la telefonata con la compagna di Ligresti. L’intercettazione è su tutti i giornali, il ministro dice «è un’ingiustizia, sono a disposizione». «Ho letto quel testo ma non mi ricordo il contesto della frase. Lei era una donna in difficoltà a cui avevano improvvisamente portato via il marito. L’ho consolata come farei con una moglie che ha il marito detenuto». Anche il figlio, dipendente di Fonsai uscito dall’azienda con 3.5 milioni di liquidazione non ha colpe: «E’ un ragazzo in gamba e la liquidazione era nel contratto».
L’ATTESA
Insomma tutto chiaro, dice il ministro. E sulla sua convinzione pesa il comunicato di palazzo Chigi, schierato in suo favore. Il Pdl esprime solidarietà, ma chiede che non valgano due pesi e due misure rispetto alle telefonate di Berlusconi nel caso Ruby. («Ruby? Ma è tutt’altra storia», taglia però corto Cancellieri). A tenere il punto resta quasi solo il responsabile giustizia del Pd Danilo Leva: «Noi siamo i primi a non accettare facili strumentalizzazioni della vicenda ma, allo stesso modo, non ne consentiamo una sua minimizzazioni. Le carceri – dice – sono piene di migliaia di persone, poveri Cristi, che non hanno il numero di cellulare del ministro o di altri parlamentari da poter chiamare».