Il Governo Letta prepara interventi sul Costo del Lavoro
Nel day after della resa di Silvio Berlusconi, Enrico Letta è stato catapultato nella gestione dell’«immane tragedia» nel mare di Lampedusa.
Ma il premier ha trovato il tempo per far partire il treno della legge di stabilità. Il primo atto: la convocazione dei sindacati e di Rete imprese. Il proposito: «Un taglio netto del costo del lavoro a favore più dei dipendenti che delle aziende. E ”molto percepibile”, in modo da far ripartire i consumi». Insomma, non la replica dell’intervento compiuto nel 2007 da Romano Prodi.
Dopo la sconfitta del Cavaliere e la nascita «di una nuova maggioranza», per usare le parole di Letta, «c’è aria nuova» a palazzo Chigi. «Ora che si è fatta chiarezza, si può accelerare. Il percorso sembra meno accidentato ed è possibile garantire stabilità e continuità nell’azione di governo fino alla primavera del 2015», ha confidato il premier.
LA ROAD MAP
«Il primo passo sarà la correzione di 1,6 miliardi per pareggiare il bilancio, riportando al 3 per cento il rapporto deficit-Pil. «Perché noi gli impegni europei li rispettiamo». Poi, appunto, toccherà alla legge di stabilità. Per capire come sia cambiato il clima a palazzo Chigi, «ora che Berlusconi è irrilevante ai fini della tenuta del governo», basta osservare come è stato accolto il nuovo avvertimento di Renato Brunetta. Come se niente fosse, il capogruppo del Pdl è tornato a imbracciare l’artiglieria, scandendo un altolà contro la correzione di bilancio e invocando la sospensione dell’aumento dell’Iva già scartata dal ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni. Ebbene, la risposta è stata un’alzata di spalle: «Brunetta ormai rappresenta la minoranza del Pdl e visto che non seguivamo i suoi starnazzamenti prima, tantomeno li seguiremo adesso». E il falco pidiellino è servito. Ma Letta non si spingerà fino a chiedere un avvicendamento al vertice del gruppo pidiellino. Non pretenderà, insomma, la testa di Brunetta: «Mai siamo entrati nel dibattito interno al Pd, figurarsi se mettiamo i piedi in quello del Pdl».
C’è da dire che Letta è determinato a non farsi strattonare. «Tantomeno logorare». Come ha detto Giorgio Napolitano, è finita la fase del «gioco al massacro». E come ha sostenuto in Parlamento il premier: «Basta ricatti e aut aut». Se Angelino Alfano non dovesse riuscire a tenere a freno il Cavaliere e i suoi consiglieri “cattivi” e decidesse di non dar vita (almeno per il momento) a gruppi autonomi per evitare che il brand “Pdl” passi nelle mani dei falchi, chiederà al vicepremier di andare alla prova di forza. Esattamente come è accaduto giovedì con la fiducia, «mettendo in minoranza gli sfascisti». Se poi l’operazione non dovesse riuscire, «non resterò premier per forza», avverte Letta, «ne trarrò le conseguenze». Anche perché, prima del premier, sarebbe il Pd a chiudere la partita puntando alle elezioni: Matteo Renzi, segretario in pectore dei democrat, non vede l’ora di correre per la premiership. Ma ormai l’unica “finestra” utile è in primavera. E Letta è convinto della solidità del “patto neo-centrista” con Alfano, un patto che potrebbe modificare la natura dei rapporti in maggioranza: non più due partiti nemici costretti a coabitare, ma due alleati. A condizione che Angelino non torni ostaggio del Cavaliere.