Guido di Monfort condannato all’Inferno da Dante
Nola – Meriterebbe un romanzo la vita di Guido di Montfort che ebbe una breve durata ma ricca di vicende che lo incardinano finanche nella Divina Commedia di Dante Alighieri.
Figlio di Simone, duca di Leicester, e di Eleonora, sorella di Enrico III d’Inghilterra, risalta il suo valore come condottiero che lo avvicinò a Carlo I d’Angiò il quale nel 1268, per i successi ottenuti sul campo di battaglia, lo mise a capo del feudo di Nola.
Dunque, gli Orsini giunsero in città solo dopo e grazie a Guido di Montfort ed, in particolare, per il matrimonio che Anastasia, figlia di Guido, contrasse con Romano Orsini pronipote di Papa Nicola III.
Tuttavia, una vicenda imprime in modo indelebile la figura di Guido nella storia.
Egli fuggì dall’Inghilterra dopo essersi scontrato con suo zio Enrico III d’Inghilterra nella nota battaglia di Evesham nel 1266, dove vennero uccisi e vilipesi il padre ed il fratello i cui corpi vennero smembrati e trascinati nel fango. L’efferatezza con la quale vennero assassinati sia il padre che il fratello, dallo stesso zio Enrico III, lasciò una profonda ferita nella vita di Guido.
Dopo alcuni anni, giunse l’occasione di vendicarsi. Guido si precipitò, insieme al fratello Simone, a Viterbo essendo venuto a conoscenza che Enrico di Cornovaglia, cugino dello zio Enrico III e suo alleato, si trovasse lì.
Durante una Messa i due fratelli irruppero nella chiesa di San Silvestro scagliandosi su Enrico di Cornovaglia e trafiggendolo sull’altare mentre egli implorava pietà.
Questa vicenda fece grande scalpore e fu ricordata per molti anni per l’efferatezza e per la profanazione del luogo sacro. L’assassinio di un uomo che implora pietà ai piedi dell’altare e durante una Messa indignò anche il grande Dante che scaraventò il Montfort direttamente all’inferno, nel primo girone del settimo cerchio tra i “violenti contro il prossimo” dove i dannati sono immersi nel fiume di sangue bollente, il Flegetonte :
Mostrocci un’ombra da l’un canto sola, dicendo: “Colui fesse in grembo a Dio lo cor che ’n su Tamici ancor si cola” (colui che durante una funzione religiosa trafisse il cuore che ancora sul Tamigi è venerato).
di Maurizio Barbato