Governo, Letta: “Non voglio dimettermi, avanti fino al 2018”

Letta ha preferito declinare l’invito a salire al Quirinale in compagnia di Renzi. L’entourage del segretario democratico dava per certa anche la presenza del premier. Ma alla fine è stato soltanto Matteo Renzi a incontrare il capo dello Stato. Obiettivo inconfessato: convincere Giorgio Napolitano a scaricare Letta e spianare la strada al Renzi-1. Ipotesi che non incontra, al momento, il favore del Presidente.

Per il premier sono ore tormentate e amare. Il segretario del Pd non si limita più a bombardare il governo, ha rotto gli indugi ed è diventato il regista di un pressing per spingere Letta a dimettersi. Il premier però ha indossato l’elmetto ed è sceso in trincea, determinato a vendere cara la pelle nel disperato tentativo di sventare quella che ritiene una congiura di Palazzo. «Non ci penso proprio a dimettermi», ha confidato a chi lo è andato a trovare apalazzo Chigi, «se Renzi vuole la mia poltrona deve sfiduciarmi. Ma stia attento, come dimostra l’ultimo sondaggio, la maggioranza degli italiani e degli elettori del Pd la pensano come me. La staffetta sarebbe una iattura e Matteo finirebbe per bruciarsi».

Il sondaggio che scalda il cuore del presidente del Consiglio e lo spinge a resistere, è quello sfornato da Ipr Marketingper il Tg3. Secondo l’indagine demoscopica condotta ieri, il 68% degli italiani è contrario allo sbarco di Renzi a palazzo Chigi senza passare per le elezioni. Alta la quota di “no” anche tra gli elettori del Pd: il 59% non vuole la staffetta. Cifre che se confortano Letta, non fermano però il segretario pronto ad andare al governo se glielo dovessero chiedere Angelino Alfano, Pier Ferdinando Casini e Mario Monti. E visto il rush notturno, Renzi dovrebbe aver varcato la porta del Quirinale con il tasca il “sì” dei tre leader, scippando di fatto la maggioranza a Letta.

IL MURO DI GOMMA
Eppure il premier, nonostante la giornata dei lunghi coltelli, fa sfoggio di calma olimpica. Ieri sera, mentre Renzi saliva sul Colle, Letta era in compagnia di Dario Franceschini a lavorare per l’ordine del giorno del prossimo Consiglio dei ministri. Ed è determinato, dopo l’incontro che avrà giovedì con Napolitano di ritorno dalla trasferta in Portogallo e dopo aver visto la legge elettorale procedere alla Camera, a rilanciare il suo governo. Non è una coincidenza che lo stesso giorno dovrebbe essere celebrata la Direzione del Pd sulle sorti dell’esecutivo, quella che inizialmente Renzi aveva convocato per il 20 febbraio.

Per togliere frecce all’arco del segretario democratico, Letta ha intenzione di rilanciare l’esecutivo anche sul piano della durata. Renzi dice che con lui si può arrivare fino al 2018, il termine naturale della legislatura? Ebbene, in questa inedita e drammatica competizione, anche il premier non fissa più date di scadenza: «Il nuovo governo dovrà avere un respiro ampio, non può partire azzoppato». E così il termine della primavera prossima è ormai superato. Cancellato. Tant’é che il programma non si chiamerà più “Impegno 2014” ma “Impegno Italia”.

«La ripartenza dovrà dare forza all’esecutivo e permetterci di andare avanti senza più scadenze prefissate», è il ragionamento del premier, «Renzi si occuperà di portare avanti le riforme istituzionali e io mi incaricherò di completare le riforme economiche». Anche perché è innegabile, secondo Letta, che la maggioranza parlamentare necessaria per cambiare l’architettura istituzionale è inevitabilmente diversa da quella che sosterrà il governo. «E dunque una eventuale sovrapposizione di ruoli potrebbe frenare le riforme costituzionali». Quelle, appunto, che stanno a cuore a Napolitano.

Si tratta di capire se il capo dello Stato continuerà a blindare Letta. Se il premier riuscirà a conservare l’appoggio di Napolitano – e dunque sarà stato in grado di frenare la fuga di Alfano, Casini e Monti verso Renzi – la soluzione più probabile sarà la nascita di un governo tutto nuovo. Un Letta-bis. Con dimissioni nelle mani di Napolitano, reincarico immediato, presentazione della nuova squadra di ministri e fiducia in Parlamento.

Quasi tramontata, invece, l’ipotesi del semplice rimpasto con la nomina di ministri nei posti rimasti vacanti (Agricoltura e viceministro dell’Economia). «Questa soluzione», ragiona un parlamentare vicino a Letta, «non darebbe garanzie di un governo forte. Invece il nuovo inizio, la ripartenza, deve passare attraverso la nascita di un esecutivo con dentro numerosi esponenti renziani. Così Matteo la smetterà di bombardare palazzo Chigi». Il problema è che Renzi ha già scritto, e vorrebbe interpretare, tutto un altro copione.

 

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