De Magistris respinge le richieste di dimissioni da sindaco

«Mi chiedono di dimettermi per questa condanna, ma guardandosi allo specchio e provando vergogna devono dimettersi quei giudici (della sentenza ndr)»: Così in consiglio comunale il sindaco Luigi De Magistris dopo giorni dopo la condanna a Roma per la vicenda delle utenze di alcuni parlamentari acquisite senza autorizzazione nel 2006, quando era pubblico ministero a Catanzaro e titolare dell’inchiesta denominata “Why not”. «Sono fiducioso che questa esperienza di governo possa andare avanti fino al 2016».

«Vorrebbero applicare per me la sospensione breve, in base alla legge Severino, un ex ministro della Giustizia che guarda caso è difensore della mia controparte nel processo a Roma. E la norma è stata approvata mentre il processo era in corso», aggiunge De Magistris.

«Quando si alza il tiro e non ci si piega, l’artiglieria pesante diventa più pericolosa. Noi non abbiamo armi ma sappiamo resistere e resisteremo. Sono assolutamente fiducioso che questa esperienza arriverà fino alla fine, al 2016. La nostra esperienza non è solo Napoli ma va ben oltre e la porteremo fino alla fine», continua Magistris.

«Avverto intatta la mia forza, ma anche un’energia più forte», prosegue il sindaco di Napoli. «Chiedo a chi ha la forza di andare avanti, a chi vuole giustizia e non legalità formale di mettercela tutta. Quando il quadro appare così confuso appare anche più chiaro chi sta lavorando per mettere le mani sulla città. Quello che dobbiamo fare è far capire ai nostri cittadini che la posta in gioco è alta, al di là di ogni distinguo». «Non credo che si possa cancellare questa esperienza a colpi di formalismi giuridici di norme», conclude.

«Siamo di fronte a uno Stato profondamente corrotto», sostiene poi De Magistris, ribadendo di essere «uomo delle istituzioni» e di non volersi «far trascinare» a perdere tale fiducia. «Le istituzioni sapranno riparare a queste violazioni di legge», ripete.

La sentenza di condanna, un anno e tre mesi di reclusione con sospensione condizionale, beneficio che fa decadere anche l’interdizione dai pubblici uffici per un anno, è stata emessa dalla X sezione del tribunale di Roma presieduta da Rosanna Ianniello ed è stata estesa nella stessa misura anche a Gioacchino Genchi, consulente informatico di De Magistris all’epoca dei fatti.

La condanna nei confronti dell’ex magistrato è stata emessa malgrado la richiesta di assoluzione fatta dal pm Roberto Felici, il quale aveva sollecitato la condanna solo per Genchi. I due imputati dovevano rispondere di abuso d’ufficio per aver acquisito utenze senza autorizzazioni di vari parlamentari tra i quali di Romano Prodi, Francesco Rutelli, Clemente Mastella, Marco Minniti e Antonio Gentile.

«La mia vita è sconvolta, ho subito la peggiore delle ingiustizie. Sono profondamente addolorato per aver ricevuto una condanna per fatti insussistenti. Ma rifarei tutto, e non cederò alla tentazione di perdere completamente la fiducia nello Stato», aveva commentato a caldo De Magistris. «In Italia, credo, non esistano condanne per abuso di ufficio non patrimoniale – aveva aggiunto il sindaco di Napoli -. Sono stato condannato per avere acquisito tabulati di alcuni parlamentari, pur non essendoci alcuna prova che potessi sapere che si trattasse di utenze a loro riconducibili. Prima mi hanno strappato la toga, con un processo disciplinare assurdo e clamoroso, perché ho fatto esclusivamente il mio dovere, dedicando la mia vita alla magistratura, ed ora mi condannano, a distanza di anni, per aver svolto indagini doverose su fatti gravissimi riconducibili anche ad esponenti politici».

«Nel corso della requisitoria, il rappresentante dell’accusa aveva sostenuto che, pur essendo stato De Magistris a dare “carta bianca” al suo consulente tecnico indagando sui contatti trovati nell’agenda di un imprenditore indagato, Antonio Saladino, fu Genchi a trasformarsi in “dominus” dell’inchiesta e a disporre non solo i decreti di acquisizione degli atti, ma anche a scegliere i nominativi dei parlamentari i cui tabulati telefonici dovevano essere acquisiti. Insomma, per il pm Felici «una violazione e una indebita intrusione nella vita privata» dei parlamentari. Argomentazione, quest’ultima, accolta dal tribunale di Roma che ha ritenuto di estendere anche a De Magistris le responsabilità attribuite a Genchi.

«La sentenza emessa oggi dal tribunale di Roma rende piena giustizia agli uomini politici tra i quali Francesco Rutelli e Clemente Mastella», hanno affermato gli avvocati Titta e Nicola Madia oltre a Cristina Calamari, legali di parte civile per conto di Rutelli e di Mastella. «La grave violazione delle prerogative dei parlamentari in questione – hanno aggiunto – determinò una violentissima campagna di stampa contro il governo all’epoca in carica». «Nulla mai potrà ripagarmi. Quell’ indagine condotta in maniera illegale è stata all’origine di tutte le mie difficoltà sul piano umano e sul piano politico», è statro il commento di Mastella.

 

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