Caso Fiat, i sindacati si compattano

Il caso Fiat sta per produrre un’altra svolta epocale, questa volta sul fronte del sindacato: sono in corso contatti e trattative fra le cinque organizzazioni (Fim-Cisl, Uilm-Uil, Fismic, Ugl e Quadri) firmatarie del contratto Fiat per la nascita di un sindacato unico. 

Sul modello di quello tedesco (IgMetall) o americano (Uaw). L’operazione – dalla quale è esclusa la Fiom – ha come punto di riferimento soprattutto il sindacato americano United Automobile Workers che è stato partner dell’amministratore delegato di Fiat Chrysler, Sergio Marchionne, nel risanamento delle fabbriche Usa coronato da oltre 20.000 assunzioni e un free cash flow (differenza fra incassi e spese) di tre miliardi di dollari nel 2014. L’Uaw è un sindacato aziendalista ma tutt’altro che ”tenero”. Tanto che per il rinnovo contrattuale Usa previsto in autunno sta preparando richieste molto pesanti.

Per l’Italia la nascita di un sindacato unitario “trattativista” in Fiat equivarrebbe ad una rivoluzione. La foresta pietrificata del mondo sindacale italiano è ferma infatti alla cortina di ferro di Stalin, con tre confederazioni scaturite da contrapposizioni fra partiti scomparsi e una miriade di sindacatini tanto “rumorosi” quanto impotenti.

Non a caso, sia pure al microscopio, qualcosa si sta muovendo. Cisl e Uil stanno lavorando all’unione di tutte le loro categorie industriali (metalmeccanici, chimici, tessili. etc) mentre i bancari della Cisl-Fiba si stanno unificando con i dirigenti della Dircredito allargando il loro raggio d’azione alle fasce più alte di quel segmento di lavoratori.

In questo scenario, dunque, Fiat ancora una volta fa da battistrada e da acceleratore. Non a caso le indiscrezioni sul tentativo di far nascere nelle fabbriche del Lingotto un polo unico della rappresentanza – confermate da più fonti sindacali – emergono dopo che giovedì Marchionne ha messo sul piatto 600 milioni di euro in 4 anni per aumenti salariali fino a 10.700 euro per ogni operaio legati all’aumento degli utili, della produttività e della partecipazione alla vita aziendale. Una tale massa di premi aziendali rischia di rendere inutile il sindacato.

La domanda è: come gestire questa nuova fase? “La fabbrica Fiat è cambiata. Oggi, per semplificare, non è più l’azienda ma l’operaio che decide come usare l’avvitatore. Questo passaggic culturale obbliga il sindacato a cambiare marcia – spiega Roberto Di Maulo, segretario Fismic – Finita l’epoca della lotta al padrone, ma anche quella degli aumenti salariali basati sull’inflazione, ora si corre il rischio di una disintermediazione totale. Ovvero che Fiat costruisca un rapporto diretto con i lavoratori, saltando il sindacato”.

Già, quale sindacato? “E’ essenziale un sindacato con una visione generale, dell’azienda e della società, ma poi servono delegati preparati – spiega Di Maulo – in grado di controllare l’organizzazione del lavoro, di proporre tagli dei costi che aumentino l’efficienza delle fabbriche e, di conseguenza, i premi salariali. Non serve un sindacato giallo, la lotta di classe è finita. Agli operai è utile invece una rappresentanza che aiuti a risolvere i problemi aziendali e che abbia la forza di spostare sul lavoro una maggior quantità di profitti”.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *