Approvazione delle Camere: no ai vitalizi per i condannati

Dopo mesi di rinvii e di incessanti polemiche tra i partiti, i presidenti delle Camere, forse anche grazie alle elezioni regionali ormai alle porte, riescono a tagliare quello che ormai può essere considerato il loro traguardo: gli uffici di presidenza di Senato e Camera dicono sì alla delibera che taglia il vitalizio ai parlamentari condannati. 
Ma al risultato, che fa esultare Grasso («Un bel segnale da parte delle istituzioni») e Boldrini («È la moralizzazione della politica»), non ci si arriva in modo indolore.

La maggioranza si spacca: quasi tutto il Pd vota «sì»; Ap o non si presenta o non vota; Svp a Palazzo Madama si astiene. E anche l’opposizione è in ordine sparso: FI abbandona i lavori; M5S alla Camera esce e al Senato dice «no»; Sel dà l’ok insieme a Lega e FdI; mentre FI abbandona i lavori. L’approvazione della delibera, che cancella il «privilegio previdenziale» per il parlamentare che subisce una condanna definitiva a più di due anni per reati di mafia, terrorismo, contro la P.A.(eccezion fatta per l’abuso d’ufficio) e per tutti quelli che prevedono condanne non inferiori nel massimo a 6 anni, tra cui anche la frode fiscale, ma non il finanziamento illecito ai partiti, è stata una strada piuttosto in salita. Che ha richiesto infiniti incontri, colloqui più o meno riservati e varie riscritture del documento.

Un lavoro certosino, insomma, che ha visto il presidente Grasso in prima fila. Sua infatti è la prima bozza poi rivista e corretta alla luce dei pareri dei costituzionalisti interpellati e delle istanze delle varie forze politiche. Nella delibera 2.0 infatti sono comparse misure che prima non c’erano e che sono state aspramente criticate dai 5 Stelle che alla fine o hanno votato contro o se ne sono andati. Prima tra tutte, la possibilità di riottenere il vitalizio in caso di riabilitazione. Questa può essere richiesta 3 anni dopo la fine della condanna (o dopo 8 o 10 anni in caso di reati gravissimi e di recidiva) e, qualora venga concessa, il vitalizio potrà essere ridato perchè la fedina penale torna ad essere pulita e viene quindi meno «il requisito negativo» che ha portato al taglio del beneficio previdenziale.

La delibera, che incassa 8 sì al Senato, su 19 componenti (Grasso non ha votato), e 12 alla Camera, di cui 7 del Pd, non convince però tutti i Dem. Oltre al duro intervento in Aula dell’ex tesoriere dei Ds Ugo Sposetti secondo il quale «ci si sta sempre più piegando all’antipolitica», la senatrice Silvana Amati non si presenta al Consiglio di presidenza perchè, come spiega un collega di partito, «è rimasta coerente», nonostante il recente e insistente pressing di Renzi, con la «sua impostazione di fondo contraria ad affrontare la materia con una delibera» anzichè con una legge, come chiedevano anche Ap e FI. «Sulla legge – incalza Maurizio Gasparri – all’inizio eravamo tutti d’accordo, poi si è preferito fare propaganda anche in vista delle elezioni e alla fine si è scelta la via della delibera».

Che però tutti sembrano dimenticare come sia stato lo strumento con il quale i vitalizi vennero introdotti. In più, alcuni esponenti Pd come Linda Lanzillotta hanno presentato emendamenti (in tutto al Senato ne sono stati presentati 16) definiti «sabotatori» che alla fine sono stati ritirati perchè «avrebbero di fatto stravolto la delibera». I 5 Stelle, intanto, restano sul piede di guerra. I vitalizi, ribadisce Grillo, andavano tagliati e basta, mentre la Bottici difende la prima delibera Grasso accusando la maggioranza di averla «snaturata» al punto da «non poter essere più votata».

La Lega prova ad alzare il tiro chiedendo con una «contro-delibera» di tagliare i vitalizi per tutti, ma la sortita di Calderoli viene bollata come «provocazione» «senza speranza di passare». Il taglio, intanto, diventerà operativo tra 60 giorni, quando entrerà in vigore la delibera. E a «pagarne le spese» potrebbero essere tra gli altri Berlusconi, Dell’Utri e Previti.

 

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