Tensioni tra Pd e FI: scontro sulle frequenze televisive
Il patto del Nazareno è finito? Presto per dirlo ma di certo oggi è andata in scena l’ennesima manifestazione delle tensioni che scorrono dentro Forza Italia.
Ci mancavano le frequenze tv a scatenare la lite tra Pd e Forza Italia. Si tratta di un argomento sensibilissimo per l’ex Cavaliere, non a caso noto anche per l’appellativo di Sua Emittenza, e a renderlo pubblico sono stati proprio i forzisti, secondo i quali si è trattato di una vera e propria «ritorsione».
Il motivo? Il giorno dopo l’elezione di Sergio Mattarella con conseguente strascico polemico, il governo avrebbe cambiato la norma che consente un forte sconto a Rai e Mediaset sulle frequenze tv, ingiungendo piuttosto di pagare 50 milioni di euro. «Una chiara ritorsione di Renzi contro Berlusconi», hanno detto, ripetuto e denunciato da parte forzista. «Calma e gesso», replica a stretto giro Antonello Giacomelli, sottosegretario alle Tlc, il quale fa sapere che della materia ci si è occupati in epoca non sospetta, lo testimoniano due lettere all’Agicom datate 23 luglio e 4 agosto, quindi ben prima delle vicende legate al passaggio del Quirinale.
Quanto al merito, Giacomelli conferma che il governo non intende operare sconti né a Mediaset, né a Rai: «Le norme vigenti non prendono atto del passaggio dall’analogico al digitale terrestre, determinando distorsioni e un onere eccessivo sugli operatori di rete». Tradotto dal ministerialese, tutti gli operatori pagavano un contributo pressoché simile a prescindere dal fatturato e dalla grandezza, per tutti c’era lo stesso ammontare, sicché verrebbe ora introdotta una sorta di imposta progressiva. Giacomelli si è sentito al telefono con Paola De Micheli sottosegretario all’Economia, i due hanno concordato di vedersi mercoledì per riformulare l’emendamento previsto nel Milleproroghe.
C’era una volta il patto del Nazareno? Per come si vanno sviluppando le cose, sembrerebbe così. A parte la vicenda delle frequenze tv, non è che il resto del confronto politico assuma sembianze più tranquille. E’ tornato in pista, in prima fila, il genio guastatori. Il capogruppo forzista Renato Brunetta ne promette una sua, di ritorsione: «Ridiscuteremo anche l’Italicum».
MINORANZE DEM Mentre dentro il Pd tornano a farsi sentire le minoranze interne in tutte le loro gradazioni, accomunate da una richiesta: modifiche alle riforme, sia elettorale che costituzionale. Vannino Chiti chiede modifiche all’Italicum sui capilista bloccati («non si può lasciare ai cittadini la possibilità di scegliere solo una minoranza di deputati»), mentre sul Senato vorrebbe «una strada meno contraddittoria e più efficace per abolire il bicameralismo perfetto». Secondo le minoranze dem, la rottura del patto con Berlusconi favorirebbe nuove maggioranze e soprattutto nuove soluzioni sulle riforme. Non è detto che tutto questo alla fine non accada.
Al momento però alla richiesta di modifiche palazzo Chigi mette mano alla pistola, nel senso che si scrive «modifica» ma si legge «rinvio» o «blocco», visto che ogni modifica apportata all’Italicum presuppone che la legge debba poi tornare al Senato, con rischi di lungaggini e, soprattutto, di mancanza di numeri. Anche per questo, dal Pd e da palazzo Chigi si continua a dire che «le riforme vanno avanti comunque», facendo capire che i numeri ci sono, ci saranno e ci dovranno essere.
Il vicesegretario dem Debora Serracchiani afferma infatti che «chi appoggerà il governo provenendo da partiti fuori della maggioranza non è uno Scilipoti qualsiasi, sono persone che attraverso la consapevolezza acquisita nei giorni dell’elezione del capo dello Stato sono oggi consci delle loro responsabilità verso l’Italia». «Ma attenti – avverte Maurizio Lupi, ministro ncd – di responsabili si muore».