Riforma Senato: regge l’intesa Pd-Forza Italia
Mentre il pacchetto riforme muove un passo decisivo verso il nuovo Senato dei cento scaturito dall’accordo tra maggioranza, FI e Lega, i grillini si lanciano in un tentativo di interdizione contro il patto del Nazareno, prontamente gelato da Maria Elena Boschi, e il Carroccio si dà un gran da fare, con Roberto Calderoli, per attribuirsi un ruolo decisivo nel nuovo assetto di palazzo Madama, Matteo Renzi mette le cose al loro posto ridefinendo meriti e profili in una giornata che fin dal suo inizio era sembrata dover mettere una pietra miliare sull’accidentato percorso delle riforme volute dal governo.
Il premier, infatti, parlando ai suoi si è detto soddisfatto «dell’ottimo punto di arrivo» a cui è arrivato il confronto alla commissione Affari costituzionali con il deposito degli emendamenti dei due relatori Anna Finocchiaro e Roberto Calderoli che, tra l’altro, fissano la composizione del nuovo ”Senato della Repubblica“ a 95 rappresentanti delle istituzioni territoriali (74 consiglieri regionali e 21 sindaci) più cinque nominati dal presidente della Repubblica.
Per tutti resterà l’immunità parlamentare di cui godono oggi i membri di palazzo Madama. Quindi, «Senato non elettivo. Infrastrutture, energia, commercio con l’estero, promozione turistica, materie che passano dalle Regioni allo Stato. Cnel abolito. Indennità dei consiglieri regionali equiparate a quelle dei sindaci», sono i motivi del compiacimento di Renzi, a cui però non sono sembrati proporzionati alla realtà i toni trionfalistici di Calderoli che, dopo essersi proclamato battistrada «nell’ultimo miglio del percorso», cantava vittoria twittando: «Trovata la quadra.
Chi la dura la vince! La riforma è in grado di partire». «Calderoli – è stata l’osservazione del segretario del Pd – prova a rigirare la frittata facendo finta di aver vinto. Ma chi conosce la vicenda sa come sono andate le cose: la Lega era tagliata fuori al patto tra maggioranza e FI e adesso prova a mettere la sua bandierina. Facciano pure se hanno bisogno di visibilità. A noi interessano le riforme».
Anche il ministro delle Riforme, Boschi, in mattinata si era detta «fiduciosa di essere a un passo» dall’intesa su Senato e Titolo V della Costituzione su cui dovrebbe arrivare il primo voto d’aula entro luglio, e sul piano della legge elettorale, aveva esteso la disponibilità a rivedere la questione delle liste bloccate, punto di frizione anche all’interno del Pd e nei rapporti con il Ncd che è a favore delle preferenze, mentre l’altro contraente dell’accordo, Forza Italia, sembra ancora attestato a favore delle candidature scelte dall’alto.
E la necessità di non rompere, senza un accordo reciproco, quella che rimane la sostanza del patto del Nazareno, è stato l’argomento che la Boschi ha usato per gelare, le avances del M5S che ha cercato di sparigliare nella trattativa sulla legge elettorale proponendo un sistema sostanzialmente proporzionale e con le preferenze. «Noi parliamo con tutti – ha detto la ministra in vista dell’incontro che il 25 una delegazione di grillini avrà con il vertice del Pd, e forse anche con Renzi – ma esiste un accordo tra le forze di maggioranza e FI da cui partire ed eventuali modifiche saranno possibili solo se ci sarà la condivisione di chi ha già contribuito a questo percorso.
Non si cambia partner all’ultimo momento e non si può dopo mesi di lavoro ricominciare da capo». Quindi, come dice anche la vicesegretaria del Pd Debora Serracchiani, «si parte dall’Italicum». Sarà poi da vedere – aggiunge la Boschi – «quanto il M5S vuole partecipare al cambiamento del Paese o restare arroccato sulle sue posizioni di conservazione».
La replica dei pentastellati arriva prima con Manlio Di Stefano che la mette così: «Offriamo a Renzi un’alternativa per sottrarsi al ricatto di Berlusconi. Dica se preferisce continuare con lui o aprirsi a un percorso nuovo». Molto più duro l’altro grillino Alessandro Di Battista che alla Boschi ricorda come FI sia «un partito nato con il beneplacito di Cosa Nostra», scatenando la prevedibile, furibonda reazione di numerosi esponenti forzisti.
Tutto liscio invece nei rapporti con il Ncd, una cui delegazione, dopo un incontro con la stessa ministra, dà il suo ok al testo delle riforme presentato dai relatori, compresa l’elezione indiretta dei senatori per i quali inizialmente gli alfaniani avrebbero voluto conservare l’elezione popolare.