Appello finale dei Big di partito per le elezioni

Fine. Oggi silenzio. La campagna elettorale a quattro – quella dei Fab Four, Renzi, Grillo, Berlusconi, Alfano – è arrivata a conclusione dopo un diluvio di parole. Per lo più contundenti. Lo scontro verbale feroce si gioca tra tutti contro tutti, e la retorica muscolosa alla Grillo si rivela contagiosa, anche se non intacca il solo Alfano il quale in nome della «responsabilità» – suo format in questa partita: «La responsabilità di mandare avanti l’Italia» – è l’unico a sottrarsi allo spaghetti western.

Per il resto, «Grillo è un assassino e un evasore fiscale» (copyright Berlusconi), «Renzi è un ebetino e bluff» (Grillo), «Grillo è un pagliaccio e uno sciacallo» (Renzi) e via così. E chi c’è l’ha più lungo il palco («Il nostro è 150 metri!!!!», esulta il leader 5 Stelle)? Chi c’è la più piena la piazza. «AReggio Emilia, Grillo ha fatto il vuoto», parola di Matteo e piazza del Popolo a Roma non gremita nei suoi angoli è il colpo gobbo fotografico che il blog di Beppe crede di aver piazzato contro Renzi.

IL PAREGGIO
In un pareggio, più o meno, per quanto riguarda il matchpiazza contro piazza, che si aggiunge a un altro pareggio, cioè a quello tra lo share delle esibizioni di Grillo e quello delle performance televisive del premier, in un corpo a corpo reale nelle strade e virtuale sugli schermi, dove Beppe ha fatto il boom dei quattro milioni e mezzo a Porta a Porta ma Matteo ha avuto una tenuta costante di ascolti con qualche picco e zero capitomboli nella sua lunga cavalcata televisiva. La tivvú ha stracciato dieci a zero e palla al centro, il suo modernismo della campagna elettorale via web. Che si è rivelata subalterna sia alle piazze sia ai palinsesti televisivi. Però l’antico campione dello schermo, Berlusconi, stavolta non s’è rivelato un campionissimo. Fino a definirsi spiritosamente, in tivvú, «un caso umano».

L’eco delle espressioni da propaganda europea, mai connesse davvero con l’Europa (che fine ha fatto l’Europa? Che fine farà l’Europa? Boh) e la scia sonora degli insulti e degli slogan quel 60 per cento, o poco più o poco meno, degli italiani che domani andranno nelle cabine elettorali se le porteranno come bagaglio o come ingombro o come fastidio. Ma sarà con loro il rimbombo delle parole di questa guerra elettorale. La campagna del premier si gioca in una doppietta tra ottimismo e governismo. Così: «Basta con l’idea che l’Italia sia finita». E cosí: «Io governo, gli altri promettono e declamano». Il tormentone è «ottanta». Perché «gli ottanta euro sono solo l’inizio».

Nell’area di governo, se per Matteo tutto (o quasi) si gioca sull’«ottanta» (e Grillo ironizza: «Di solito la paura fa novanta»), per Alfano il leit motiv è «responsabilità» («Con un voto responsabile il governo si consolida») ed è «Europa» (lui, sí). Gli altri non ne parlano granché, a parte Grillo che la vuole «rivoluzionare», il leader del Nuovo Centrodestra e ministro dell’Interno la chiama in causa continuamente in condominio con un’altra parola chiave: «Immigrati». Ovvero: «Se l’Europa non ci da una mano nei confronti degli immigrati che arrivano dal Mediterraneo, noi daremo loro la libertà di andare negli altri Paesi del Continente».

TRA MAMELI E ’A CAROGNA
Naturalmente, la guerra delle parole, così come tutte le altre sfide da campagna elettorale, si gioca soprattutto tra Renzi e Grillo. Il primo dice di «commuoversi» al suono dell’inno di Mameli. Il secondo dice di infischiarsi di quella canzone, e «non mi stupiscono i fischi contro Fratelli d’Italia. Fratelli di che?». Comprensibile è anche Jenny ‘a Carogna, ma vabbè. Il premier: «Grillo è la rabbia». Il Beppe: «Noi siamo cattivi ma senza violenza».

Anzi con la violenza, secondo Berlusconi. «La cattiveria sanguinaria di Grillo – annuncia l’ex Cavaliere – è dimostrata dal fatto che vuole fare del male a Dudú, che é un’anima candida e adorabile». La politica che dovrebbe guardare avanti s’attarda con l’evocazione di figure del passato. Le più sinistre. «Bravo Stalin, ci ha salvato dal nazismo», spiega lo storiografo Beppe, barbuto come Senofonte, «e se non fosse stato per lui, oggi Shulz avrebbe la svastica tatuata sulla fronte». Berlusconi, dopo aver riesumato contro la Merkel i lager nazisti per poi scusarsi, «Grillo é come Hitler». «No», è la replica, «io sono oltre Hitler. Come Charlie Chaplin». Ma ora basta. Le parole confidenti del pre-elezioni stanno per lasciare il posto alle polemiche del dopo. Altro che silenzio.

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