Pd: Cuperlo si dimette
Alcune ore di incertezza separano l’attacco di Renzi a Cuperlo al termine della Direzione, dalla decisione del presidente del Pd di dimettersi. Lascio – scrive Gianni Cuperlo nella sua lettera al segretario – non per «rancore o invidia», ma perché «colpito e allarmato da una concezione del partito e del confronto al suo interno che non può piegare verso l’omologazione di linguaggio e di pensiero». Il leader della minoranza dem si dice convinto che «non possa funzionare una comunità politica dove lo spazio e l’espressione delle differenze finiscono in una irritazione della maggioranza e, con qualche frequenza, in una conseguente delegittimazione dell’interlocutore».
La risposta «Caro Gianni, rispetto la tua scelta», è l’asciutta risposta a Cuperlo di Renzi che tuttavia afferma di «pensare che un tuo impegno in prima persona avrebbe fatto bene alla comunità di donne e uomini cui tu ti riferisci. Sono certo che – pur con funzioni diverse – ripartiremo insieme». Ricordato di essere stato anche lui bersaglio di attacchi livorosi, quando in un articolo dell’Unità gli venne dato del «fascistoide», il segretario democrat difende punto per punto l’accordo sulla legge elettorale. «Certo, si poteva fare di meglio – ammette – ma fino ad ora non si era fatto neanche questo». E quanto a rimettere in discussione i punti dell’intesa «senza il consenso degli altri, si rischia di far precipitare tutto». Su uno dei temi più contestati, l’assenza delle preferenze, Renzi «confessa»: «Sono un sostenitore delle preferenze. Purtroppo sul punto si è registrata la netta ostilità di Forza Italia e io non ce l’ho fatta a ottenerle. Nella trattativa ciascuno ha dovuto mollare qualcosa». Da oggi, dice il leader dem, «solo le Camere potranno fare cambiamenti. Nel Pd si fa quello che ha deciso la Direzione. Non è che adesso – è il suo secco avvertimento – si blocca tutto per le dinamiche di corrente. Le correnti hanno già fatto troppi danni al Pd».
Anche la scelta, «obbligata» di incontrare il Cavaliere viene difesa a spada tratta da Renzi, ospite ieri sera a ”Porta a Porta“: «Sono 20 anni che diciamo che FI è un partito padronale. C’è qualcuno che può negare che Berlusconi è FI e che FI è Berlusconi? Chi dovevo incontrare, Dudù?». Al di là delle battute, la tensione nella maggioranza sulla riforma elettorale resta alta. Ogni partito si attesta sulle proprie richieste e di fronte a quella dei partiti minori di abbassare le soglie di sbarramento, il leader pd è liquidatorio: «Il giochino è interessante. Con tutto il rispetto, si mette la soglia proprio per evitare il ricatto dei partitini e i partitini si arrabbiano? Si arrangino». Poi, rivolto soprattutto al Pd, Renzi ha uno sfogo: «Trovo sconcertante che a fronte di un quadro che mette il Senato gratis, le Regioni a dieta, il taglio da 1 miliardo ai costi della politica, il ballottaggio, il premio di maggioranza, si protesti. Chiamate Goldrake, più di così non potevo fare». Il rabbuffo del segretario ottiene un risultato sorprendente: è proprio uno dei suoi più accesi avversari, Stefano Fassina, a riconoscere che «Renzi ha fatto un ottimo lavoro. Ora c’è un accordo, lavoriamo per migliorarlo. Noi vogliamo che le riforme vadano in porto. Tutto il resto dimentichiamolo».
Musica per le orecchie di Matteo che, incontrando ieri sera i deputati dem, sottolinea l’importanza del passaggio a cui si è giunti: «Se falliamo noi falliscono tutti. Senza riforme la legislatura rischia. Mentre chi non mi ha mai creduto deve prendere atto che nessuno trama contro Letta».