Nella serata di ieri incontro-scontro Letta con Renzi

Due ore di incontro notturno a palazzo Chigi dopo una giornata ad alta tensione. 
Due ore a discutere di patto di programma e legge elettorale al termine delle quali Enrico Letta e Matteo Renzi si lasciano con la stessa convinzione iniziale: avere uno più dell’altro le munizioni giuste per vincere la battaglia finale. Letta da giorni non sopporta l’irruenza con la quale il segretario del Pd interpreta il «cambio di passo». Anche ieri sera non ha gradito «il totale disinteresse» del segretario del Pd per le sorti del governo. Il momento di rovesciare il tavolo, o di minacciare di volerlo fare, non è ancora arrivato ma Letta ha provato a convincere Renzi che «per fare le riforme e la legge elettorale un governo dovrà pure esserci». Ma Renzi non si fida della coppia che guida palazzo Chigi. Teme che Letta ed Alfano giochino d’intesa per logorarlo. E così ieri pomeriggio, mentre il dibattito in Direzione era ancora in corso, Letta detta alle agenzie poche frasi in controtendenza al suo umore della giornata: «Bene sul nuovo inizio anche se dissento dal giudizio sui nove mesi di governo». Il braccio di ferro tra presidente del Consiglio e segretario del Pd è ormai entrato nella fase finale ed è probabile che alla fine solo uno dei due resterà in piedi. L’incontro di ieri sera è servito solo in parte a stemperare le tensioni. La scelta di disertare, per la prima volta, una riunione della Direzione conferma la reciproca distanza e il gelo che colpisce la maggioranza che oggi dovrà affrontare il caso De Girolamo. A palazzo Chigi tentano di gettare acqua sul fuoco e parlano di gesto di cortesia da parte di Letta.

TENSIONE
La telefonata che ha preceduto la riunione del Pd e la cena non hanno risolto la sfida visto che Letta più volte ha rimproverato al sindaco non solo di non tener conto dello «sforzo» e del «coraggio» di Alfano nello strappo con Berlusconi, ma di non aver «mai speso una parola in difesa del governo». Il segretario-rottamatore non ha certo nascosto il suo disappunto per la scelta di Letta di «non condividere» in Direzione «le scelte difficili che ci apprestiamo a compiere». Resta il fatto che nel pomeriggio, mentre Renzi parla e suda in via del Nazareno, il presidente del Consiglio tenta di ricompattare la squadra di un governo «ai minimi storici di gradimento», attraverso ”Impegno 2014”. A minare il rapporto tra i due i motivi politici che hanno permesso al governo di continuare dopo lo strappo del Cavaliere. Per Renzi sono venuti meno perché Alfano era ed è ancora politicamente con Berlusconi. A Letta è ormai chiaro che il segretario Pd non intende concedere alcun spazio politici ad Alfano ma la resistenza dell’opposizione interna di sinistra – guidata da Cuperlo – aiuta il premier proprio sul nodo del dialogo con Berlusconi. Alfano e i ministri del Ncd, che a Renzi hanno lasciato lo spazio della trattativa con l’ex premier, sono da ieri in forte fibrillazione anche perché il segretario del Pd continua a dare al Quirinale ampie rassicurazioni sulla volontà di sostenere il governo. Resta il fatto che – a giudicare dall’irritazione del Ncd per le parole di Renzi e per le bordate di Scelta Civica sul ministro De Girolamo – la maggioranza rischia di frantumarsi.

E’ per questo che il sindaco di Firenze conta molto sull’incontro con Berlusconi. Nel Pd il dibattito sull’opportunità o meno di un’intesa con il Cavaliere è in pieno svolgimento. Dal «mai col pregiudicato» si è passati al «porta male». Renzi ieri ha rivendicato la necessità di non procedere a colpi di maggioranza sulle riforme. Lo ha ripetuto incontrando i Fratelli d’Italia di Crosetto e Meloni, e dalla sua ha il Colle che spera in un pacchetto votato con una maggioranza in grado di evitare persino il referendum.

NOMENKLATURA
I due dovrebbero vedersi domani. Il segretario del Pd conta di poter ricevere l’okkey su una soluzione che non ammazzi il Ncd, ma lo riconduca nell’alveo di un’intesa con FI. Il Cavaliere, che con Alfano ha sempre continuato ad avere buoni rapporti (sia pur telefonici), dovrebbe assecondare la volontà del segretario dicendo sì ad un sistema similspagnolo, ma resta contrario alle preferenze e al doppio turno reclamato invece dal Ncd e da una parte del Pd in odore di scissione.

 

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