I centristi Casini e Mauro varano la “Nave popolare”
Gli obiettivi sono ambiziosi e la passione è quella di chi vede la fine del ventennio bipolare come occasione per scongelare l’iceberg dell’astensionismo e convogliare i delusi degli schieramenti principali. Al Teatro Quirino va in scena l’Assemblea popolare per l’Italia, con i centristi di Pier Ferdinando Casini e i popolari di Mario Mauro nei panni degli ingegneri che hanno progettato la grande nave dei moderati veri, popolari, democratici, riformatori refrattari agli estremismi e ai populismi. I big si limitano alle interviste all’ingresso o a margine dell’evento, perchè il proscenio è tutto per le persone normali, gente che vuole vivere l’esperienza di provare a cambiare l’Italia: ci sono studenti, medici, avvocati, imprenditori, ricercatori, volontari, amministratori locali. Prima di entrare, un’urna con le schede e le matite per scrivere il nome del partito che nascerà.
Di questo sono sicuri tutti, così come Pier Ferdinando Casini, Lorenzo Cesa, Gregorio Gitti certificano che presto, già la prossima settimana, nasceranno i gruppi parlamentari comuni. Un passaggio che non filerà del tutto liscio, perchè c’è da perfezionare la separazione non proprio consensuale con Scelta civica. «I problemi sono più a livello di Sc come partito che a livello parlamentare», dice un senatore, spiegando che la questione dei rimborsi elettorali pesa come un macigno.
A livello parlamentare, la situazione è che al Senato i montiani hanno già chiesto a Pietro Grasso una deroga per poter formare un gruppo con gli otto senatori rimasti mentre i 12 popolari, che attualmente esprimono il capogruppo Lucio Romano (ma ci sono anche Casini e Mauro), probabilmente assumeranno una nuova denominazione. Alla Camera, le due anime hanno i numeri per formare ciascuna un gruppo a se stante di almeno 20 deputati. Sono incognite che si risolveranno nei prossimi giorni, mentre a livello europeo c’è l’adesione al progetto da parte di Giuseppe Gargani, Carlo Casini, Gino Trematerra, Potito Salatto, fra gli altri, tra cui, ovviamente, Ciriaco De Mita.
Al Quirino la platea e i loggioni sono gremiti, per diverse centinaia di partecipanti. La scenografia è sobria, in stile classicheggiante, con giovani seduti alle spalle degli oratori di turno, tutte persone con un identikit da italiano normale, che lavora o si dedica alla famiglia o agli altri. I ‘big’ restano seduti. Lorenzo Dellai e Lucio Romano, capigruppo, illustrano il manifesto appello per il superamento delle rispettive identità di partito, indicano una democrazia comunitaria e non basata sull’individualismo, in una prospettiva anti populista e in linea con il popolarismo democratico europeo. Il leader Udc Pier Ferdinando Casini, il ministro della Difesa Mario Mauro e gli altri più in vista evitano di rubare la scena, anche se poi è proprio a loro che tocca spiegare il senso dell’operazione a telecamere e cronisti: «È finita la stagione degli uomini della Provvidenza -dice l’ex presidente della Camera- e vogliamo creare una forza europeista, sì, ma che contrasti la politica europea fondata su questo rigore che porta a fondo tutti noi».
Mauro mette in evidenza che il centrodestra berlusconiano non esiste più e che con il Ncd di Alfano, pur essendoci differenze, «gli elettori sono gli stessi» mentre e «al governo c’è collaborazione». Il progetto è quello del cantiere per «costruire nave aperta a tutti coloro che scommettono su un’Italia popolare e non populista, di destra o di sinistra». Mette qualche paletto il ministro della Pubblica amministrazione, Gianpiero D’Alia: «Alfano persegue obiettivi diversi dai nostri: loro vogliono rifare un centrodestra nell’ambito di un bipolarismo che abbiamo visto non aver avuto effetti positivi per il Paese. Noi invece pensiamo che un sistema politico e istituzionale debba essere radicalmente cambiato». Ottimista il segretario centrista, Lorenzo Cesa, che prefigura un «congresso di tutti» coloro che si riconosceranno in questa nuova cosa che vuole dare scacco al «nemico numero uno rappresentato dal populismo: di Berlusconi, di Grillo, di Renzi…». La battaglia è tutto campo.