Papa Francesco: “I sacerdoti non possono vivere da faraoni”

«La Chiesa deve parlare con la verità e anche con la testimonianza: la testimonianza della povertà. Se un credente parla della povertà o dei senzatetto e conduce una vita da faraone: questo non si può fare». Lo dice il Papa in un’intervista al giornale di strada olandese Straatnieuws, intervista diffusa anche da Radio Vaticana. 

«C’è sempre la tentazione della corruzione nella vita pubblica. Sia politica, sia religiosa», continua. Una «tentazione», per il Papa, è quella di «fare accordi con i governi. Si possono fare accordi, ma devono essere accordi chiari, accordi trasparenti. Per esempio: noi gestiamo questo palazzo, ma i conti sono tutti controllati, per evitare la corruzione».

Il Papa ribadisce di aver scelto di vivere a Santa Marta per stare con la gente. «Non posso vivere qua – ha detto parlando del Palazzo Apostolico – semplicemente per motivi mentali. Mi farebbe male. All’inizio sembrava una cosa strana, ma ho chiesto di restare qui, a Santa Marta. E questo mi fa bene perché mi sento libero. Mangio nella sala pranzo dove mangiano tutti. E quando sono in anticipo mangio con i dipendenti. Trovo gente, la saluto e questo fa che la gabbia d’oro non sia tanto una gabbia. Ma mi manca la strada».

Papa Francesco da piccolo non ha mai pensato che voleva diventare pontefice. «No», è la risposta risoluta che dà al giornale olandese. Il Papa poi fa «una confidenza. Quando ero piccolo non c’erano i negozi dove si vendevano le cose. Invece c’era il mercato dove si trovava il macellaio, il fruttivendolo eccetera. Io ci andavo con la mamma e la nonna per fare le spese. Ero piccolino, avevo quattro anni. E una volta mi hanno domandato: ‘Cosa ti piacerebbe fare da grande?’ Ho detto: il macellaio!».

Papa Francesco non si aspettava che sarebbe stato scelto lui come pontefice. «È venuto e non l’aspettavo». Ma aggiunge: «Non ho perso la pace. E questo è una grazia di Dio. Non penso tanto al fatto che sono famoso. Dico a me stesso: adesso ho un posto importante, ma in dieci anni nessuno ti conoscerà più», ha detto ridendo. Il Papa risponde poi semplicemnete di «sì» al giornale che gli chiede se continuerà questo lavoro fino a quando ne sarà in grado.

Papa Francesco amava giocare a calcio da ragazzo ma non era una promessa di questo sport. Lo dice lui stesso nell’intervista: «A Buenos Aires a quelli che giocavano il calcio come me, li chiamavano pata dura. Che vuol dire avere due gambe sinistre. Ma giocavo, facevo il portiere tante volte».

«Quando la Chiesa è tiepida, chiusa in se stessa, anche affarista tante volte» non è «al servizio, bensì si serve degli altri», ha poi detto il Papa alla messa a Santa Marta invocando il Signore che ci dia «quel punto d’onore di andare sempre avanti, rinunciando alle proprie comodità tante volte e ci salvi dalle tentazioni».

«Nella Chiesa ci sono questi, che invece di servire, di pensare agli altri, di gettare le basi, si servono della Chiesa: gli arrampicatori, gli attaccati ai soldi. E quanti sacerdoti, vescovi abbiamo visto così. È triste dirlo, no?», ha aggiunto nell’omelia.

«Io vi dico quanta gioia ho, io, che mi commuovo, quando in questa Messa – ha detto il Papa – vengono alcuni preti e mi salutano: ‘Oh padre, sono venuto qui a trovare i miei, perché da 40 anni sono missionario in Amazzonia’. O una suora che dice: ‘No, io lavoro da 30 anni in ospedale in Africa’. O quando trovo la suorina che da 30, 40 anni è nel reparto dell’ospedale con i disabili, sempre sorridente. Questo si chiama servire, questa è la gioia della Chiesa: andare oltre, sempre; andare oltre e dare la vita».

E invece nel Vangelo, ha ripreso il Papa, il Signore ci fa vedere l’immagine di un altro servo, «che invece di servire gli altri si serve degli altri». E, ha sottolineato, «abbiamo letto cosa ha fatto questo servo, con quanta scaltrezza si è mosso, per rimanere al suo posto». «Anche nella Chiesa – ha avvertito Papa Francesco – ci sono questi, che invece di servire, di pensare agli altri, di gettare le basi, si servono della Chiesa: gli arrampicatori, gli attaccati ai soldi. E quanti sacerdoti, vescovi abbiamo visto così. È triste dirlo, no? La radicalità del Vangelo, della chiamata di Gesù Cristo: servire, essere al servizio di, non fermarsi, andare oltre sempre, dimenticandosi di se stessi. E la comodità dello status: io ho raggiunto uno status e vivo comodamente senza onestà, come quei farisei dei quali parla Gesù che passeggiavano nelle piazze, facendosi vedere dagli altri». Quindi ci sono «due immagini di cristiani, due immagini di preti, due immagini di suore. Due immagini».

 

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