Papa Francesco a Sarajevo: “Si agli scambi interculturali”
Sulle colline che circondano l’aeroporto di Sarajevo dove vent’anni fa si sparava giorno e notte, ora ci sono villette e campi coltivati. Papa Bergoglio atterra nella Gerusalemme d’Europa, lanciando un messaggio a Bruxelles e a tutti i Paesi dell’Unione.
All’aeroporto il Papa si era fermato più del previsto per salutare e stringere la mano a 150 bambini e ragazzi, vestiti con costumi tradizionali di tutte le etnie bosniache, appartenenti a vari gruppi folcloristici, nonchè ai dipendenti dell’aeroporto.
«Abbiamo bisogno di scoprire le ricchezze di ognuno, di valorizzare ciò che ci unisce e di guardare le differenze come possibilità di crescita nel rispetto di tutti. E’ necessario un dialogo paziente e fiducioso». Il tessuto urbanistico storico è composto da sinagoghe, chiese e moschee, costruite secoli addietro una accanto all’altra. Segno di una convivenza possibile, anche se il fondamentalismo, anche da queste parti, fa proseliti e molti giovani musulmani hanno scelto di arruolarsi per andare a combattere sotto le bandiere nere dell’Isis. Il Papa è preoccupato e all’orizzonte vede nubi minacciose:«si percepisce un clima di guerra». Non solo l’Isis, ma anche i fondamentalismi in crescita, le violenze diffuse in molti Paesi africani, la mancanza del rispetto della libertà religiosa. Senza dimenticare «chi specula sulle guerre per vendere armi». Il risultato è che «viviamo in una sorta di terza guerra mondiale combattuta a pezzi», dice.
Il senso del viaggio di Bergoglio è racchiuso in questa riflessione che condivide con decine di migliaia di giovani allo stadio, mentre celebra la messa: «abbiamo tutti bisogno, per opporci con successo alla barbarie di chi vorrebbe fare di ogni differenza l’occasione e il pretesto di violenze sempre più efferate, di riconoscere i valori fondamentali della comune umanità, valori in nome dei quali si può e si deve collaborare, costruire e dialogare, perdonare e crescere, permettendo all’insieme delle diverse voci di formare un nobile e armonico canto piuttosto che urla fanatiche di odio». Sulla testa di Bergoglio, da quando è atterrato all’aeroporto, volteggiano cinque elicotteri armati, per proteggerlo. Le misure di sicurezza per paura di un attentato sono imponenti anche se l’entourage vaticano sdrammatizza: «non ci sono segnali specifici di pericoli».
A Sarajevo Francesco chiede il rispetto della libertà religiosa. La situazione esistente in questa città dimostra che i patti di Dayton zoppicano e che i cattolici sono stati via via più emarginati, come fossero cittadini di serie B. “E’ per questo che chi ha la possibilità se ne va, emigra” denuncia il cardinale Pulijc. In Bosnia i musulmani rappresentano il 40 per cento della popolazione, i serbi ortodossi il 31 per cento e i cattolici meno del 10 (più o meno 20 mila ma prima della guerra erano 150 mila). Con gli accordi di Dayton sono state costituite due entità, una abitata dai serbi, mentre nell’altra zona è composta dalla federazione croato-musulmana anche se sono gli islamici e i serbi a contare di più. Insomma un puzzle complicato come tutto nei Balcani. La disoccupazione sfiora il 50 per cento e la crisi economica incrina i rapporti tra le etnie, mettendole spesso l’una contro l’altra. Negli ultimi anni sono state costruite un centinaio di moschee e almeno 70 centri islamici, grazie ai finanziamenti dei sauditi e dei turchi. Sarajevo è sempre più musulmana. Della Gerusalemme d’Europa, crocevia di culture e fedi, se non invertirà la rotta, resterà solo un ricordo.