Papa Francesco: “Usiamo il linguaggio della pace”
La pace in famiglia inizia dall’uso corretto, appropriato, pensato delle parole. Come fermare certe liti, prima che i piatti inizino a volare? In fondo è facile. Moderando il linguaggio, introducendo cortesia. La vita di una coppia non è semplice, specie quando si concentrano i problemi e si accumulano i nervosismi di fine giornata. Eppure è proprio in quel momento che marito e moglie dovrebbero fare tesoro di un suggerimento.
Papa Francesco lo scandisce bene durante l’udienza. Dicendo: “permesso”, “grazie”, “scusa”. Infatti queste parole, dice il Papa, aprono la strada per vivere bene nella famiglia, per vivere in pace. Sono parole semplici, anche se non sempre così semplici da mettere in pratica! “Racchiudono una grande forza: la forza di custodire la casa, anche attraverso mille difficoltà e prove; invece la loro mancanza, a poco a poco apre delle crepe che possono farla persino crollare”.
Il Papa riprende il ciclo di predicazioni sulla famiglia. Stavolta si concentra sul concetto di buona educazione che è cosa ben diversa dal “formalismo delle buone maniere che può diventare maschera che nasconde l’aridità dell’animo e il disinteresse per l’altro”. “Occorre perseguire uno stile dei buoni rapporti che è saldamente radicato nell’amore del bene e nel rispetto dell’altro. La famiglia vive di questa finezza del voler bene”.
La prima parola è “permesso”. Francesco ne illustra la potenza racchiusa. “Quando ci preoccupiamo di chiedere gentilmente anche quello che magari pensiamo di poter pretendere, noi poniamo un vero presidio per lo spirito della convivenza matrimoniale e famigliare. Entrare nella vita dell’altro, anche quando fa parte della nostra vita, chiede la delicatezza di un atteggiamento non invasivo, che rinnova la fiducia e il rispetto. La confidenza, insomma, non autorizza a dare tutto per scontato”.
La seconda parola è “grazie”. Il Papa insiste: “Certe volte viene da pensare che stiamo diventando una civiltà delle cattive maniere e delle cattive parole, come se fossero un segno di emancipazione. La gentilezza e la capacità di ringraziare vengono viste come un segno di debolezza, a volte suscitano addirittura diffidenza. Questa tendenza va contrastata nel grembo stesso della famiglia. Dobbiamo diventare intransigenti sull’educazione alla gratitudine, alla riconoscenza: la dignità della persona e la giustizia sociale passano entrambe di qui”.
La terza parola è “scusa”. Il Papa ammette che è la parola più difficile da pronunciare. “Parola tuttavia necessaria. Quando manca, piccole crepe si allargano – anche senza volerlo – fino a diventare fossati profondi. Non per nulla nella preghiera insegnata da Gesù, il Padre nostro, che riassume tutte le domande essenziali per la nostra vita, troviamo questa espressione: «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,12). Riconoscere di aver mancato, ed essere desiderosi di restituire ciò che si è tolto – rispetto, sincerità, amore – rende degni del perdono. E così si ferma l’infezione. Se non siamo capaci di scusarci, vuol dire che neppure siamo capaci di perdonare. Nella casa dove non ci si chiede scusa incomincia a mancare l’aria, le acque diventano stagnanti. Tante ferite degli affetti, tante lacerazioni nelle famiglie incominciano con la perdita di questa parola preziosa: “Scusami”.