Sentenza della Cassazione: se il coniuge cambia sesso il matrimonio resta valido
Rimane valido a tutti gli effetti il matrimonio di una coppia eterosessuale anche nel caso in cui uno dei due coniugi cambi la sua identità sessuale. Lo ha stabilito la Cassazione in attesa che il Parlamento affronti questi casi. Il verdetto però non determina «l’estensione del modello di unione matrimoniale alle unioni omoaffettive».
La vicenda è quella di una coppia emiliana – Alessandro B. e Alessandra T. -, sposata con nozze concordatarie, nei confronti della quale su reclamo del Viminale era stata dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio in seguito alla «domanda di rettificazione e attribuzione di sesso femminile» avanzata dal marito al quale il «prenome» era stato modificato in Alessandra. La coppia si è battuta contro il «divorzio imposto», andando anche alla Consulta, la Cassazione le ha dato la massima tutela.
Ad avviso degli ermellini – sentenza 8097 depositata oggi – la pronuncia n.170 del 2014 della Consulta che ha dichiarato l’illegittimità del divorzio ‘forzato’ in casi come questo, non è stata solo un «monito» ma una decisione «autoapplicativa e non meramente dichiarativa» pertanto l’adeguamento alle indicazioni della Consulta – scrive la Cassazione – «non può che comportare la rimozione degli effetti della caducazione automatica del vincolo matrimoniale sul regime giuridico di protezione dell’unione, fino a che il legislatore non intervenga a riempire il vuoto normativo, ritenuto costituzionalmente intollerabile, costituito dalla mancanza di un modello di relazione tra persone dello stesso sesso all’interno del quale far confluire le unioni matrimoniali contratte originariamente da persone di sesso diverso e divenute, mediante la rettificazione del sesso di uno dei componenti, del medesimo sesso».
La Cassazione prosegue affermando che «tale opzione ermeneutica è costituzionalmente obbligata e non determina l’estensione del modello di unione matrimoniale alle unioni omoaffettive, svolgendo esclusivamente la funzione temporalmente definita, e non eludibile, di non creare quella condizione di massima indeterminatezza stigmatizzata dalla Corte Costituzionale in relazione ad un nucleo affettivo e familiare che, avendo goduto legittimamente dello statuto matrimoniale, si trova invece in una condizione di assenza radicale di tutela».
Così la Suprema corte ha ritenuto «necessario» accogliere il ricorso delle due ‘Alessandrè e «conservare» loro «il riconoscimento dei diritti e doveri conseguenti al vincolo matrimoniale legittimamente contratto fino a quando il legislatore non consenta ad esse di mantenere invita il rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata che ne tuteli adeguatamente diritti ed obblighi».